Nessun articolo nel carrello

Più di un papa, più di un Concilio

Tratto da: Adista Documenti n° 11 del 22/03/2014

Molti sono (siamo) sorpresi per le cose che dice e che fa papa Francesco, in linea con il Vangelo. Ci pare che sia una cosa assai buona, ma riteniamo che la Chiesa abbia bisogno di qualcosa di più di un papa (per quanto un papa come Francesco sia necessario).

Molti siamo convinti che il Concilio Vaticano II (1962-1965) sia stato un dono per la Chiesa e che la sua visione generale e i suoi documenti debbano essere attualizzati e portati a compimento. Pensiamo, però, che non basti più un Concilio, perché forse l’era dei Concilii episcopali della Chiesa, iniziata nel palazzo imperiale di Nicea, è giunta al suo termine.

Abbiamo bisogno di qualcosa di più, più di un papa, più di un Concilio…


1. PIÙ DI UN MERO CONCILIO

Risulta comprensibile che alcuni, in questo momento di cambiamento, auspichino la celebrazione di un nuovo Concilio, il quale definisca come debba essere la Chiesa e, all’interno di essa, la struttura gerarchica, seguendo il modello medievale del Concilio di Costanza (1414-1418) (quello che affermava la superiorità del Concilio sul papa, ndt). Piacerebbe loro che si definissero subito nuove strutture per la Chiesa, risolvendo dall’alto temi come il celibato, l’ordinazione delle donne, il potere dei vescovi, la funzione del papa…

‒ Non è il momento. Oggi, nel 2014, con una maggioranza di vescovi nominati in base a una linea decisamente sacrale e persino fondamentalista, un Vaticano III a cui assisterebbero solo questi risulterebbe poco rappresentativo dell’insieme della Chiesa e della dinamica del Vangelo. Un Concilio cristiano appare oggi impossibile senza la partecipazione dell’insieme delle Chiese impegnate nel servizio dei poveri a partire da Gesù.

‒ Cominciare dalla vita. Più che un Concilio che decida dall’alto cosa sono o devono fare i credenti, vogliamo Chiese che esplorino e percorrano cammini di Vangelo, dal basso, nel servizio ai poveri, in comunione mutua, senza attendere soluzioni esterne. Per questo, sembra necessario vivere ancora un tempo di “caos”, per imparare a condividere la sofferenza di quanti sono stati espulsi dalla vita e per aprire con loro un cammino di libertà (...). Nessuno (né dentro né fuori della Chiesa) deve dare ai cristiani l’autorità per pensare e celebrare, per organizzarsi e decidere della propria vita, poiché quell’autorità la possiedono già (cfr Mt 18,15-20), essendo loro stessi Concilio permanente.

‒ Contro l’endogamia. Un Concilio chiuso su se stesso, impegnato solo su temi interni alla Chiesa, sarebbe un segno di egoismo. Quello che importa sono i poveri, non un Concilio centrale. D’altra parte, nella misura in cui è comunione e servizio di amore, tutta la vita cristiana è Concilio, cioè riunione permanente di quanti sono convocati dallo Spirito di Cristo per annunciare il Vangelo della libertà e della vita. In base a questo, il Concilio non deve essere un atto separato, ma espressione della vita delle Chiese, bazar permanente di molteplici contatti in cui uomini e donne donano e condividono la propria vita (cfr 1Cor 13). (…).

L’autentico Concilio delle Chiese è la loro vita quotidiana, nella quale si vanno creando forme concrete e impegnate di presenza e di servizio ai poveri (…).

In questo senso, essere cristiani è “vivere in Concilio”, coltivando l’unità che sorge dalla parola e dalla vita condivisa, a partire dai più poveri. Solo in questo contesto si potrà parlare di vescovi e papi, con altri ministri ugualmente importanti. Il cristianesimo è Concilio o rete di relazioni che non si possono delegare, di modo che non possa mai sorgere una persona (un papa) o un comitato (un’autorità collegiale) che costringa al silenzio gli altri e parli a loro nome senza averli ascoltati. Questo cristianesimo conciliare a cui alludo non deve fare grandi cose (edificare cattedrali, creare commissioni, vincere guerre), ma essere semplicemente un ponte in cui tutti possano incontrarsi. (…).


2. PIÙ DI UN PAPA, UNA GRANDE UTOPIA

Finora ha trionfato un tipo di globalizzazione economico-politica che ha assunto forme elleniste o, ancor meglio, platoniche, con una separazione di livelli (sopra lo spirituale, sotto il materiale) e con una struttura gerarchica in cui i nobili (i saggi-degni-superiori) dominano i plebei (ignoranti-indegni-inferiori). In questi ultimi secoli, tale sistema è sfociato in un tipo di capitalismo neoliberista, introducendo un nuovo e più forte modello di separazione classista sul piano economico e tecnico, militare e amministrativo. Ebbene, a questa tendenza opponiamo la cattolicità cristiana, partendo dalla grazia di Dio che si esprime nei poveri.

Per questo, per coerenza storica e spirito evangelico, quelli che si dicono successori di Pietro e capi delle Chiese devono tornare nel luogo in cui è stato Gesù (e i primi cristiani: Maddalena, Pietro, Paolo…), tra gli affamati e gli emarginati dell’antico impero, per riscoprire e ricreare la cattolicità del Vangelo, senza con ciò assumere il potere, in quanto, se lo facessero, smetterebbero di essere segno del Vangelo. (…).

Quello che unisce la Chiesa non sono dei dogmi proposti in modo più o meno ellenista (secondo i Concilii), né leggi fissate in un Codice di Diritto Canonico, né l’alta gerarchia, ma la mutazione evangelica di Cristo, che si esprime nell’amore reciproco e nel pane condiviso, in un perdono che non è offerto dall’alto (come effetto di una misericordia classista), ma dagli stessi peccatori perdonati. In questo contesto si situa la dichiarazione fondativa della prima assemblea o Concilio di Gerusalemme, dove i rappresentanti delle comunità (che non erano vescovi), discussero, dialogarono e finirono per mettersi d’accordo sull’essenziale, dichiarando: «Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi…» (At 15,28). Quell’«abbiamo deciso…» significa che i cristiani si scoprono mossi dallo Spirito di Cristo e in questo modo è apparso loro come un bene che le comunità di linea paolina (accettate da Pietro) potessero aprirsi ai gentili, chiedendo loro solo che si ricordassero dei poveri (cfr Gal 2,9-10).

Certamente, all’interno della comunione condivisa dallo Spirito, possono e devono esserci funzioni differenti (cfr 1 Cor 12-14), come quella che il Gesù pasquale affidò a Pietro dicendogli: «Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22,31-32). Pietro svolse un compito molto importante agli inizi della Chiesa, ma con lui dobbiamo ricordare Maddalena e Maria, la madre di Gesù, con Giacomo e con Paolo e con molti altri. Il Dio di Gesù parla a ciascuno, nella sua intimità, ma in comunione con altri.

Senza dubbio, è importante che i credenti ascoltino in modo personale la Parola (attraverso la Scrittura o per ispirazione interiore), come hanno posto in rilievo i cristiani evangelici. Ma bisogna anche potenziare la vita delle comunità, che esplorano e procedono per tentativi, che aprono e offrono cammini di esperienza condivisa (di Vangelo), in questo tempo in cui molti di noi si sentono minacciati dal sistema, condannati all’individualismo o dominati da gruppi di pressione che vogliono imporci la loro volontà.

In tale contesto, bisogna rimarcare che tutti i cristiani sono sacerdoti, perché il sacerdozio comune dei fedeli (fondato sulla fede e sul battesimo, cioè sul radicamento ecclesiale) è la prima cosa. Per questo, la celebrazione del battesimo e dell’eucaristia non è un diritto che i vescovi o il papa concedono ai fedeli, ma un elemento essenziale delle comunità che possono ricevere nuovi credenti e celebrare la memoria di Gesù. Per questo, non è la gerarchia a rendere possibile l’eucaristia, ma il contrario: la stessa eucaristia, celebrata dall’insieme della comunità, riunita nel nome di Gesù, rende possibile la nascita di una comunità in cui i credenti possiedono e condividono doni diversi, ma tutti al servizio dello stesso corpo ecclesiale (cfr 1Cor 12-14).

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

50 anni e oltre

Adista è... ancora più Adista!

A partire dal 2018 Adista ha implementato la sua informazione online. Da allora, ogni giorno sul nostro sito vengono infatti pubblicate nuove notizie e adista.it è ormai diventato a tutti gli effetti un giornale online con tanti contenuti in più oltre alle notizie, ai documenti, agli approfondimenti presenti nelle edizioni cartacee.

Tutto questo... gratis e totalmente disponibile sia per i lettori della rivista che per i visitatori del sito.