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Questione di giustizia

Tratto da: Adista Documenti n° 23 del 21/06/2014

Due eventi, negli ultimi 100 anni, hanno influenzato la vita dei palestinesi di Gerusalemme più di qualsiasi altra cosa: la pulizia etnica generalizzata dei palestinesi musulmani e cristiani dei quartieri ovest della città e dei villaggi adiacenti compiuta da Israele nel 1948 e l’occupazione e annessione israeliana dei quartieri est della città nel 1967.

Sotto il Mandato britannico (1917-1948), Gerusalemme era una città caratterizzata da una sostanziale divisione etnica e da conflitti tra comunità. Come ovunque nel Paese, questi erano generati principalmente dagli sforzi messi in atto dal movimento sionista – con il sostegno delle autorità britanniche – per assumere il controllo politico attraverso l’acquisizione della terra e l’arrivo dall’Europa di immigrati ebrei in gran numero. Ma se in questo periodo la popolazione ebraica conobbe un rapido aumento, gran parte della terra continuava ad appartenere alla popolazione indigena, principalmente araba.

Gerusalemme, all’epoca, era anche una città con una considerevole mobilità sociale. La diversità etnica, la presenza di istituzioni legate a ogni tipo di interessi locali o stranieri e la coesistenza di diverse tendenze religiose e secolari le conferivano un carattere cosmopolita. Una classe media urbana in espansione di palestinesi arabi aveva lasciato la Città vecchia iperpopolata per costruire case spaziose nei quartieri nuovi, a sud-ovest della città, mentre alcuni villaggi arabi vicini si stavano rapidamente integrando nell’economia e nel mercato del lavoro di Gerusalemme. Conflitti tra comunità, interetnici, erano stemperati da una buona dose di mutua interdipendenza e solidarietà, poiché quartieri, negozi e proprietà erano stati equamente divisi tra palestinesi musulmani, cristiani ed ebrei, soprattutto all’interno e intorno alla Città vecchia. La vita di questa Gerusalemme terminò brutalmente nel 1948.


SEPARAZIONE RAZZIALE E DOMINAZIONE: GERUSALEMME OVEST DIVENTA EBREO-ISRAELIANA (1948-1967)

Nel novembre del 1947 le Nazioni Unite approvarono un piano di spartizione che prevedeva, dopo la fine del Mandato britannico, la divisione della Palestina in due Stati: uno ebraico e uno arabo, con Gerusalemme sotto il controllo internazionale. La popolazione palestinese della regione rigettò la divisione del Paese stabilita dall’Onu. Il conflitto armato si tramutò in guerra nel maggio 1948 allorché gli Stati arabi intervennero in risposta alla Dichiarazione di nascita dello Stato di Israele.

Prima e durante la guerra, milizie sioniste e, poi, l’esercito israeliano cacciarono tutta la popolazione non ebraica fuori dai quartieri ovest di Gerusalemme e dai villaggi vicini per far spazio alla Gerusalemme Ovest israeliana ebraica. Nel corso di quella che i palestinesi chiamano Nakba (catastrofe), circa 80mila palestinesi musulmani e cristiani divennero rifugiati, cercando riparo soprattutto nei quartieri est della città, nonché in Cisgiordania e in Giordania. In risposta, l’esercito giordano espulse nel luglio 1948 tutta la comunità ebraica (circa 2.500 persone) dalla Città vecchia verso Gerusalemme Ovest.

Nel dicembre di quello stesso anno, le Nazioni Unite invitarono a far tornare tutte le persone cacciate durante la guerra, a restituire loro le proprietà sottratte e a compensarle delle perdite subite e dei danni loro inflitti.

Dopo la guerra, Gerusalemme Est passò sotto il controllo giordano. Le proprietà ebraiche che si trovavano in questa zona, tra cui 192 case e terreni, furono sequestrate dall’Amministrazione giordana per la Custodia delle proprietà nemiche e le case vuote appartenenti agli ebrei furono utilizzate per ospitare i rifugiati provenienti da Gerusalemme Ovest e affittate dall’amministrazione giordana a locatari palestinesi. Mentre la Giordania preservava così il diritto di proprietà dei titolari ebrei e il loro diritto a riprendere successivamente possesso dei loro beni, Israele scelse una soluzione diversa. Subito dopo la guerra, adottò una serie di leggi discriminatorie che privò i rifugiati palestinesi del loro status di cittadini, rendendoli apolidi senza alcun diritto al ritorno, e autorizzò la confisca sistematica e irreversibile dei loro beni immobili, divenuti di proprietà definitiva dello Stato israeliano e del Fondo Nazionale Ebraico a beneficio della popolazione ebraica di Israele. Israele espropriò in questo modo i rifugiati palestinesi di Gerusalemme Ovest di circa 10mila case e 35 km² di terreni. (...).


L’OCCUPAZIONE ISRAELIANA: COLONIZZAZIONE E DOMINAZIONE RAZZIALE DI GERUSALEMME EST DOPO IL 1967

L’occupazione israeliana, nel 1967, della restante Palestina, compresa Gerusalemme Est, fu pianificata in anticipo: una rivendicazione di sovranità fu introdotta per legge nel 1948 e un governo militare per l’area era pronto già nel 1964. Subito dopo l’occupazione, Israele annetté i sobborghi a est di Gerusalemme, così come i terreni appartenenti a 28 comunità palestinesi, tra cui le città di Betlemme e Beit Jala, per un totale di circa 70 km² di territorio palestinese, noto oggi come Gerusalemme Est.

Israele annetté Gerusalemme Est incorporandola alla municipalità di Gerusalemme e introducendovi la propria legislazione. In questo modo, Israele privò i palestinesi di Gerusalemme Est delle tutele garantite dalla IV Convezione di Ginevra, assoggettandoli alle stesse leggi discriminatorie utilizzate per la pulizia etnica e la spoliazione della popolazione palestinese di Gerusalemme Ovest nel 1948. Israele riprese così anche il controllo delle proprietà ebraiche pre-1948 a Gerusalemme Est che erano state amministrare dalla Custodia giordana.

Poiché Gerusalemme Est era popolata esclusivamente da palestinesi, dal momento in cui, nel 1967, fu annessa, le autorità israeliane hanno cercato di cambiare la sua composizione demografica, attraverso l’espropriazione, il trasferimento forzato dei palestinesi e la creazione di colonie ebraiche. Questa politica di trasferimento è stata portata avanti secondo la dottrina ufficiale dell’“equilibrio demografico”. Formulata dal Comitato interministeriale di Studio del Tasso di sviluppo di Gerusalemme (Comitato Gafni) nel 1973, questa definisce il rapporto di 30 palestinesi a 70 israeliani come l’obiettivo delle politiche israeliane per una Gerusalemme (Ovest ed Est) «unita».

Inoltre, dall’inizio dei negoziati di pace israelo-palestinesi, a metà anni ‘90, Israele ha creato una “Grande Gerusalemme” nella vicina Cisgiordania, una regione metropolitana israelo-ebraica che si estende da Ramallah a nord al Mar Morto a est e a Hebron a sud. Israele ha annesso di fatto questa regione creandovi quattro grandi concentrazioni di colonie, applicandovi la legge israeliana, costruendo il muro e infrastrutture stradali che collegano le colonie a Gerusalemme Ovest e a Israele.


LE CONSEGUENZE DELL’OCCUPAZIONE DI GERUSALEMME EST

Israele ha espropriato almeno un terzo della terra palestinese a Gerusalemme Est (...). Migliaia di palestinesi sono stati cacciati, case e patrimoni distrutti. In seguito alla guerra del 1967, per esempio, i militari israeliani hanno demolito interi quartieri della Città vecchia, compreso quello di Mughrabi, e ne hanno espropriato i terreni. Circa 5mila abitanti palestinesi, compresi molti rifugiati del 1948, sono stati espulsi e le loro case distrutte, per far spazio alla popolazione ebraica.

Oggi, nella Città vecchia e nei suoi dintorni, demolizioni e scavi archeologici sono effettuati dal comune di Gerusalemme, specialmente a Silwan (a sud della Città vecchia), in coordinamento con i coloni, per quello che essi chiamano “il Parco nazionale della Città di Davide”. Nelle vicinanze, a Sheikh Jarrah, alcune organizzazioni di coloni, sostenute dalle autorità e dai tribunali israeliani, espellono i rifugiati palestinesi dalle loro case con la forza, facendo leva su una legge israeliana che consente di rivendicare proprietà antecedenti al 1948 a Gerusalemme Est, ma non a Gerusalemme Ovest dove si trovano le proprietà dei rifugiati.

A Beit Safafa, al confine sud di Gerusalemme Est, l’abitato palestinese è sistematicamente distrutto. La comunità palestinese è tagliata in due da una nuova grande strada costruita su terreni che le sono stati confiscati, per permettere gli spostamenti degli israeliani verso e dalle colonie nel sud della Cisgiordania.

Spogliati della cittadinanza e dei loro diritti

La maggioranza dei palestinesi è privata del diritto all’accesso, al ritorno e all’esistenza a Gerusalemme Est occupata. Circa 30mila palestinesi, residenti nella zona annessa da Israele, erano assenti/espulsi in occasione del censimento della popolazione effettuato da Israele nel 1967 e non furono quindi iscritti nel registro della popolazione. Per gli israeliani, né loro né i loro discendenti esistono: non hanno alcun statuto legale a Gerusalemme, né alcun diritto al ritorno. Inoltre il diritto a costruire una casa a Gerusalemme è rifiutato alla quasi totalità della popolazione occupata perché Israele ha ristretto la residenza legale ai palestinesi fisicamente presenti durante il censimento del 1967 e ai loro discendenti.

Infine, a partire dalla metà degli anni ‘90, il libero accesso alla città per chi proveniva dalla Cisgiordania occupata è stato negato a più di quattro milioni di palestinesi, anche per una breve visita (...), perché Israele ha istituzionalizzato una discriminatoria “politica di chiusura a Gerusalemme” fatta di decisioni militari, obblighi di carte magnetiche, permessi di accesso, posti di controllo e di chilometri di Muro.


“Stranieri” soggetti a deportazione

Sempre in base al censimento del 1967, Israele ha creato una categoria speciale, gli “arabi di Gerusalemme”, iscritti sul registro municipale della popolazione e autorizzati ad abitare a Gerusalemme Est. Questi palestinesi di Gerusalemme sono tuttavia privati sia della loro nazionalità palestinese che di uno status civile sicuro nella propria città. Lo status di “residenti permanenti” (carta d’identità israeliana, blu) che è loro concesso secondo il Regolamento di entrata in Israele (1974) è quello generalmente accordato agli stranieri che soggiornano a lungo nel Paese. Consente l’accesso ai servizi sociali e la partecipazione alle elezioni municipali, ma non dà diritto incondizionato a risiedervi e a registrare le nascite, né al ricongiungimento familiare: privilegi sottoposti alla discrezione del Ministero dell’Interno israeliano, secondo il quale, nel 2012, erano 317.844 i palestinesi che detenevano questo status di “residente permanente” a Gerusalemme.

La residenza permanente può essere revocata se il Ministero stima che un palestinese di Gerusalemme non ha veramente il suo “centro di vita” a Gerusalemme ma nella Cisgiordania occupata o altrove. Dal 1967 Israele ha revocato questo status ad almeno 14.200 palestinesi, escludendoli dal registro della popolazione e annullando il loro diritto al ritorno.


Famiglie divise, bambini non dichiarati

Le autorizzazioni a registrare bambini che non sono nati a Gerusalemme o di vivere a Gerusalemme con i propri congiunti che non sono né residenti né cittadini di Israele sono allo stesso modo spesso rifiutate. I bambini palestinesi non registrati sono obbligati a vivere nell’anonimato e privati dei servizi sanitari gratuiti e dell’insegnamento scolastico. Dal 2003 il ricongiungimento familiare a Gerusalemme tra i palestinesi che abitano qui e i loro congiunti (mariti, mogli, figli) della Cisgiordania o della Striscia di Gaza è vietato dalla legge israeliana. Molte famiglie palestinesi lasciano Gerusalemme per evitare una separazione forzata.

Case e servizi adeguati negati

I palestinesi di Gerusalemme dipendono dalle autorità israeliane per i servizi di base. Non hanno diritto ai servizi pubblici dell’Autorità palestinese perché, secondo gli Accordi di Oslo, è vietato all’Anp di intervenire a Gerusalemme Est occupata. Le autorità municipali e nazionali di Israele privilegiano sistematicamente lo sviluppo della popolazione ebraica di Gerusalemme, specialmente quella delle colonie; privano i palestinesi del loro diritto a una casa adeguata, alla salute e all’educazione, costringendoli a trasferimenti forzati.

La sistematica insufficienza di finanziamenti alle scuole di Gerusalemme Est ha portato alla mancanza cronica di aule, servizi e strutture scolastiche. Ai docenti palestinesi della Cisgiordania è vietato insegnare nelle scuole di Gerusalemme Est a causa della politica israeliana della “chiusura”. A causa del piano urbano discriminatorio, i palestinesi non possono costruire che su un 13% di Gerusalemme Est. Ma la gran parte di questo territorio è già molto popolato e coperto di edifici. Dei permessi di costruzione concessi dalla municipalità israeliana di Gerusalemme tra il 2005 e il 2009, solo il 13% è stato concesso ai palestinesi. Le costruzioni erette senza permesso sono sistematicamente distrutte, anche se si tratta di case o di edifici scolastici.

Demolizioni di case e mancanza di alloggi obbligano molte famiglie palestinesi a cercare una sistemazione nei sobborghi di Gerusalemme Est, al di là del muro, o a lasciare la città.


Perseguitati per la resistenza alla “de-palestinizzazione”

Secondo gli Accordi di Oslo, Israele deve applicare i programmi scolastici palestinesi a Gerusalemme Est occupata, e permettere la partecipazione politica dei palestinesi di Gerusalemme agli affari pubblici palestinesi, comprese le attività delle istituzioni dell’Olp (ma non a quelle dell’Anp). In realtà Israele impedisce sistematicamente la libertà di espressione e di riunione dei palestinesi. Priva anche i giovani di Gerusalemme Est del diritto a conoscere la loro storia, eredità culturale e identità. Le autorità israeliane impongono la censura sui libri scolastici palestinesi, fanno pressioni sulle scuole palestinesi affinché adottino programmi israeliani. La legge israeliana prevede sanzioni contro la commemorazione della Nakba. Le autorità impediscono regolarmente conferenze pubbliche ed eventi culturali. Creano un clima di paura attraverso (minacce di) azioni legali e sanzioni contro gli organizzatori, gli animatori o i fornitori, e tollerando la violenza dei coloni ebrei contro i palestinesi, compresi i bambini.

Almeno 31 istituzioni palestinesi hanno ricevuto l’ordine di chiudere dal 2001, con la scusa della sicurezza, o di relazioni di complicità con l’Autorità palestinese. Molte hanno lasciato Gerusalemme Est per timore di persecuzioni israeliane.

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