SUD SUDAN: NUOVA TREGUA E POCHE SPERANZE. MA I RELIGIOSI INIZIANO A «COSTRUIRE IL FUTURO»
Tratto da: Adista Notizie n° 31 del 13/09/2014
37775 JUBA-ADISTA. Sembrerebbe utopistico sognare un futuro di pace e riconciliazione per un Paese nato da soli 3 anni (il 9 luglio 2011) e già in cima alle classifiche globali della povertà, con alle spalle circa 40 anni di guerra per l’indipendenza e otto mesi di guerra civile. Eppure c’è chi, proprio nel momento in cui nessuno scommetterebbe un euro sulla pacificazione del Sud Sudan, ha deciso di dar vita ad un ambizioso progetto di ricostruzione «umana e spirituale», attraverso la realizzazione di un Centro nazionale per la formazione umana, pastorale e spirituale, un luogo d’accoglienza e peace building a Kit, alle porte di Juba, che costerà circa 2 milioni di dollari e sarà gestito dalle 43 congregazioni del Paese coordinate dall’Associazione dei Superiori Religiosi (Rsass). Una struttura capace di mettere insieme un centinaio di giovani dinka e nuer, i principali gruppi etnici del Paese, trascinati in un conflitto che ha acquisito drammatici connotati etnici, ma che in realtà è sorto dallo scontro per il potere dei due rispettivi referenti politici, il presidente in carica del Sud Sudan Salva Kiir, dinka, e l’ex vicepresidente Riek Machar, nuer. Tra i due, il 26 agosto è stata siglata l’ennesima tregua – nell’ambito dei dialoghi di pace condotti ad Addis Abeba (v. Adista Notizie n. 19/14) – che prevede la sospensione degli scontri e la costituzione di un governo provvisorio di unità nazionale.
Due giorni prima dell’accordo, dagli Stati Uniti, dove si è recato per un incontro missionario e per raccogliere fondi per l’edificazione del Centro, il missionario comboniano Daniele Moschetti – coordinatore provinciale dei comboniani in Sud Sudan, presidente della Rsass e promotore in prima persona del progetto – ha inviato un’e-mail ad un gruppo di amici italiani, tra cui Adista, chiedendo un sostegno e uno sforzo di «creatività»: «Sto cercando di trovare fondi per mettere in piedi un grande sogno, che tutti i religiosi e missionari del Sud Sudan di ben 43 congregazioni e sostenuto dai vescovi del Sud Sudan vorrebbero si realizzasse a Juba, la capitale del Paese. Un centro di formazione umana, spirituale, trauma healing e peace building. Un lavoro importante che dobbiamo fare tutti insieme per uscire dai tanti blocchi e traumi che la gente vive da oltre 40 di guerra» (per ulteriori informazioni e per i contributi: ssmccj@gmail.com). L’11 ottobre prossimo, mons. Paolino Lukudu Loro (arcivescovo di Juba) inaugurerà i lavori del centro, ha spiegato p. Moschetti a Vatican Insider il 22 agosto scorso: «Dobbiamo imparare a risolvere i conflitti. Per questo è importante mettere a disposizione un luogo di incontro dove i diversi gruppi etnici possano condividere le sofferenze, le paure ma anche le loro potenzialità e ricchezze culturali, senza pregiudizi». «Dei bisogni materiali della gente si prendono cura molte organizzazioni umanitarie, mentre poca attenzione viene dedicata alla formazione spirituale. Noi però siamo convinti che la formazione spirituale possa garantire la pace e anche uno sviluppo sostenibile e duraturo». Concetto ribadito nelle 19 pagine del progetto del Centro: le Chiese «sono state l’unico fattore di stabilizzazione negli ultimi decenni», si legge nell’introduzione. «Le 40 congregazioni cattoliche inoltre stanno giocando un ruolo decisivo in questo contesto», consapevoli della loro centralità nel processo di pacificazione del Paese. Dopo anni di aiuti economici ed umanitari, affermano i religiosi, abbiamo deciso di «concentrarci sulle esigenze personali, umane e spirituali», per promuovere la formazione non solo del clero, ma di tutti i giovani del Paese, bisognosi anch’essi di un «reset antropologico», dopo un’esistenza in cui hanno conosciuto guerra e odio fratricida. (giampaolo petrucci)
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