“TERZO TURNO” IN BRASILE: AVANZANO LE DESTRE
Tratto da: Adista Notizie n° 44 del 13/12/2014
37911 BRASILIA-ADISTA. In base all’analisi dei principali movimenti popolari brasiliani, la presidente Dilma Rousseff, dopo la sua vittoria di strettissima misura sul candidato socialdemocratico Aécio Neves, aveva di fronte a sé due alternative: o ricomporre l’alleanza con la destra, già forte di un’ampia maggioranza al Congresso, o tentare di dare risposta alle rivendicazioni dei lavoratori e dei movimenti popolari. A meno, naturalmente, di non scegliere nessuna delle due strade, aprendo così la via a un lungo periodo di instabilità politica. È così che si è aperto quello che è stato definito a ragione come il terzo turno, dove a scontrarsi, nuovamente, sono i progetti contrapposti del capitale e dei lavoratori, entrambi impegnati a tirare dalla propria parte la presidente. La quale, a più di un mese dalla sua riconferma alla guida del Paese, sembra aver optato, nei fatti, per il progetto della destra, senza però rinunciare a mandare segnali ai movimenti.
Sul piano delle decisioni concrete, grande malessere ha provocato, a sinistra, la nomina, a capo del Ministero delle Finanze, del banchiere Joaquim Levy, noto come “mani di forbice” per la sua prontezza nel tagliare la spesa pubblica, a cui si aggiunge la quasi certa indicazione di Katia Abreu alla guida del Ministero dell’Agricoltura. «Nel terzo turno che si sta attualmente svolgendo – ha denunciato al riguardo il “Manifesto in difesa del programma vincente nelle urne”, sottoscritto da intellettuali, teologi e leader dei movimenti sociali (dal leader del Movimento dei Senza Terra João Pedro Stédile all’economista Luiz Gonzaga Belluzzo, dal teologo Leonardo Boff all’ex portavoce di Lula, André Singer) – la presidente eletta sembra più impegnata a dare ascolto alle forze che ha sconfitto che a dialogare con quelle che l’hanno portata alla vittoria». Eppure, prosegue il manifesto, le proposte annunciate in campagna elettorale miravano chiaramente «all’ampliamento dei diritti dei lavoratori, non all’involuzione sociale» e, in linea con quel programma, la società civile ha ora «il diritto di partecipare attivamente alla definizione dell’orientamento del governo che essa ha eletto».
«Dilma si è arresa senza lottare!», denuncia in un durissimo articolo (Rebelión, 1/12) il sociologo Atilio Boron: annunciando la designazione di Joaquim Levy come ministro delle Finanze, un “Chicago boy”, «Dilma e il Pt hanno vilmente capitolato rispetto alla loro responsabilità storica», tradendo il mandato popolare, «che aveva respinto la proposta di Aécio», e «servendo il potere su un vassoio d’argento ai suoi nemici dichiarati»: «Una gigantesca truffa postelettorale senza precedenti nella storia del Brasile», che spiega bene «il giubilo dei grandi capitalisti e dei loro rappresentanti politici e mediatici, che hanno celebrato questo gesto di “buon senso” di Dilma come una straordinaria vittoria». Così, «Dilma assume come proprio il pacchetto economico dei suoi nemici, lo stesso che ha sprofondato l’Europa nella sua peggiore crisi dal tempo della Grande Depressione e che tanti danni ha arrecato all’America Latina»: la «vecchia ricetta per sedurre i mercati» fatta di «aggiustamento fiscale» e di tagli agli investimenti sociali. «Il tutto – prosegue Boron – per riconquistare la fiducia dei mercati», i quali, al contrario, si fideranno sempre e solo della crescita dei profitti». Ed è la storia stessa degli ultimi anni a dimostrarlo: «Mai le banche hanno guadagnato tanto come sotto i governi del Pt», appropriandosi addirittura del 42% del bilancio federale del 2014, a fronte del 4,1% della salute, del 3,5% dell’educazione e di poco più dell’1% del programma Bolsa Familia. Ebbene, «si sono forse tranquillizzati per questo? Esattamente il contrario. Chiedono ancora di più, mirando a governare direttamente senza l’ostacolo di una mediazione politica».
Perché «l’obiettivo che si sono poste le classi dominanti in Brasile, e che non ha trovato resistenza nel governo del Pt, è rafforzare la posizione del grande capitale non solo all’interno dei mercati, ma anche nella società e nella politica», piegando definitivamente i movimenti popolari in «un penoso passaggio da una democrazia di bassa intensità a una spudorata plutocrazia che nulla di buono potrà offrire al popolo e, per estensione, all’America Latina».
Quanto a Katia Abreu, esponente di punta dell’agrobusiness e acerrima nemica del Movimento dei Senza Terra («cuore di serpente» l’ha definita un contadino espulso dalla sua terra in Tocantins sotto le pressioni della senatrice), è facile immaginare, come sottolinea Emilio Marín (La Arena, 3/12), «la profonda delusione di milioni di contadini», ai quali apparirà chiaro che «i grandi produttori della soia e i grandi allevatori hanno perso le elezioni con Neves, ma stanno vincendo la partita rispetto alla politica del governo». Non esiste «giustificazione minimamente plausibile», commenta Leandro Fortes, all’offesa arrecata in tal modo a tanti «lavoratori rurali che, da sempre, sono stati perseguitati, defraudati e trucidati politicamente e fisicamente da tante katie abreu nel corso della storia. Semplicemente, è incredibile che ciò stia avvenendo» (http://www.mst.org.br/node/16772, 22/11). Non solo: come ha evidenziato Egon Heck, della segreteria nazionale del Cimi, il Consiglio Indigenista Missionario, con questa nomina anche «i popoli indigeni e i loro diritti saranno dati in pasto a nemici spietati» (Ihu-Unisinos, 25/11).
È in questo quadro che la presidente si è incontrata per più di un’ora, il 26 novembre scorso, con i rappresentanti del Gruppo Emmaus, tra cui il teologo Leonardo Boff e il domenicano Frei Betto, i quali le hanno consegnato un documento, dal titolo “Il Brasile che vogliamo”, in cui vengono indicate 16 misure da adottare durante il suo secondo mandato, a cominciare dalla riforma politica, così da impedire il finanziamento delle campagne elettorali da parte delle imprese e rendere realmente possibile la partecipazione dei cittadini e delle cittadine al processo decisionale. Ma la lista delle rivendicazioni del Gruppo, che riunisce diversi esponenti della Teologia della Liberazione (tra cui, oltre a Boff e a Frei Betto, Carlos Mesters, Oscar Beozzo, Luiz Carlos Susin, Marcelo Barros, Maria Clara Lucchetti Bingemer), è assai più lunga, includendo una serie di riforme considerate indispensabili per il Paese, quella agraria, quella urbana e quella tributaria; l’adozione di un modello economico di carattere popolare, orientato al buen vivir e ad una relazione armoniosa con la natura, contro «la privatizzazione dei servizi pubblici e delle nostre ricchezze naturali»; la revisione della politica delle grandi opere nel rispetto dei criteri sociali e ambientali; la protezione degli ecosistemi a partire dall’Amazzonia e dal Cerrado, assumendo l’obiettivo del “disboscamento zero” e del cambiamento del modello energetico in direzione delle energie rinnovabili, cominciando da quella solare; la difesa dei diritti costituzionali dei popoli indigeni e quilombolas; la restrizione dell’uso di transgenici e di veleni agricoli; un processo di audit sul debito pubblico; la democratizzazione dei mezzi di comunicazione; l’universalizzazione del diritto alla salute, all’educazione, al trasporto, al lavoro degno. Un dialogo fruttuoso, ha commentato Frei Betto (Brasil de Fato, 1/12): «Abbiamo posto l’accento sull’importanza del dialogo permanente con i movimenti sociali e, in particolare, con i giovani», ha affermato, aggiungendo che Dilma non ha solo «gradito le nostre critiche e i nostri suggerimenti, ma ha anche espresso l’intenzione di dare continuità a questo dialogo». Di più: quello con i movimenti sociali, ha aggiunto Boff, sarà, secondo le parole della presidente, «un punto culminante del suo governo». Peccato però che, in attesa che Dilma studi il documento come promesso, l’agenda di governo sembri andare in tutt’altra direzione rispetto a quella indicata dai movimenti. (claudia fanti)
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