Per fare ritorno alla dimora planetaria. Ecologia profonda, spiritualità e liberazione
Tratto da: Adista Documenti n° 46 del 27/12/2014
DOC-2680. ROMA-ADISTA. Non poteva essere più apprezzata la scelta da parte della Commissione Teologica Internazionale dell’Associazione ecumenica di teologi e teologhe del terzo mondo (Eatwot o Asett) di dedicare al tema dell’ecologia profonda l’ultimo numero della rivista Voices: la risposta dei teologi e delle teologhe è stata così entusiasta che ne è nato addirittura un numero doppio (corrispondente al secondo e al terzo semestre del 2014), dal titolo “Ecologia profonda, spiritualità e liberazione”. Di ecologia, senza aggettivi, la Eatwot si era già occupata più volte e approfonditamente, ponendola al centro delle proprie preoccupazioni, ma senza soffermarsi specificamente su quella filosofia o ecosofia o visione spirituale che il filosofo norvegese Arne Naess, nel 1972, definì - per distinguerla da un’ecologia “superficiale” impegnata nella difesa della natura, ma pur sempre al servizio dell’essere umano - come ecologia “profonda”, ponendo l’accento sul valore intrinseco di ogni forma di vita, umana e non umana, e sulla profonda interrelazione tra tutto ciò che esiste.
«Di fatto - si legge nella presentazione del numero - quello che più sta trasformando la coscienza attuale dell’umanità è la nuova cosmologia, il nuovo racconto cosmico che le scienze ci stanno trasmettendo». E non si tratta solo di dati o analisi scientifiche, ma, soprattutto, di «una nuova coscienza, una rinnovata sensibilità, una più profonda e terrestre spiritualità. È per questo che parliamo di ecologia profonda». E quale migliore occasione per farlo del 100° anniversario, il 9 novembre scorso, della nascita di Thomas Berry, considerato il massimo eco-teologo dei nostri tempi? È a lui, infatti, «il pioniere che ha intuito un cammino nuovo per la teologia, un cammino di ritorno al nostro oikos, alla nostra dimora, alla nostra nicchia ecologica», che è dedicato il numero di Voices, come ringraziamento per il suo invito a riflettere che «la terra in sé e tutti i suoi esseri viventi e i suoi elementi inorganici costituiscono una comunità» e che di questa l’essere umano fa parte a tutti gli effetti, trovando anzi il suo vero posto proprio «nel promuovere tale comunità». Siamo, insomma, come evidenzia il teologo gesuita Roger Haight, «costruiti con materiale dell’universo e ne portiamo la storia dentro di noi»: il mondo naturale non è una mera cornice «della nostra vita autonoma razionale. Piuttosto, siamo parte della biosfera fisica che è diventata cosciente di sé». Distinguendoci, come sottolinea la teologa tedesca (ma residente in Perù) Birgit Weiler, per la nostra capacità, benché esercitata poco e male, «di riflettere sull’impatto della nostra azione su altri esseri viventi o di prevedere le conseguenze delle nostre azioni per questo grande tessuto della vita sulla Terra e di agire con responsabilità», cercando la giustizia in tutte le sue dimensioni. E così continuando, come sottolinea il teologo brasiliano Sandro Gallazzi, l’opera creatrice di Dio, «lottando contro tutti i mali che minacciano la vita di tutti e del pianeta, contro la violenza presente in tutte le pagine della storia umana», in un «processo permanente di creazione e ri-creazione che finirà solo quando potremo vivere senza più dolore nei nuovi cieli e nella nuova terra».
Lungo i cammini di una spiritualità ecocentrata
Ed è su questo cammino che, come evidenzia la Commissione Teologica Internazionale, la nuova spiritualità ecocentrica sembrerebbe entrare in competizione con la spiritualità tradizionale, compresa quella cristiana, ponendo interrogativi su cui si sono confrontati i diversi interventi: l’ecologia profonda è «compatibile con la spiritualità cristiana?»; «quale sarebbe il posto di Gesù nella spiritualità ecocentrata?»; «la mistica ecocentrica ci allontana dalla preoccupazione per la giustizia, per i poveri?»; «cosa hanno reciprocamente da dirsi l’ecologia profonda e la teologia e la spiritualità della liberazione?».
Di certo, secondo il domenicano portoghese Rui Manuel Grácio Das Neves, l’eco-spiritualità è «una proposta trasversale, in quanto non può riferirsi a una sola delle tradizioni spirituali dell’umanità». Ed è una proposta che raccoglie diversi apporti, dall’ipotesi Gaia di James Lovelock (la visione del pianeta come un organismo vivo e dell’umanità come parte di questo pianeta, cosicché la sua salute è anche la nostra, perché tutti siamo Uno), alla metafora, proposta dalla teologa Sallie MacFague, del mondo come corpo di Dio, accompagnata dalla sostituzione di una cultura dell’ego con una cultura della fraternità/sororità dell’essere umano con tutto ciò che esiste («Quando si è scalato per la prima volta l’Everest - sottolinea il teologo domenicano citando MacFague -, l’espressione comunemente utilizzata in Occidente è stata “la conquista dell’Everest”. Un orientale, i cui scritti rivelano una profonda influenza taoista, segnalava: “Noi lo diremmo in altro modo. Parleremmo piuttosto di offrire la nostra amicizia all’Everest”»). O l’ipotesi dei campi morfici (modelli di comportamento che configurano qualsiasi sistema del mondo materiale) del biologo inglese Rupert Sheldrake, che, descrivendo il modo in cui le informazioni si incorporano - senza contatto fisico, cioè al di fuori di una comunicazione convenzionale (per “risonanza morfica”) - nella memoria collettiva di ogni sistema naturale (di modo che, per esempio, la maniera in cui un determinato cristallo ha cristallizzato per la prima volta nella storia evolutiva dell’universo condiziona tutte le altre volte in cui lo farà), rimanda alla grande responsabilità degli esseri umani e di ciascuno di essi per tutto ciò che pensano, dicono e fanno, giacché tutto genera campi morfici, positivi (in quanto creano pace e giustizia) o negativi (in quanto determinano violenza e oppressione), «attraverso cui - commenta Grácio Das Neves - possiamo alimentare una memoria collettiva umana (anche cosmica?) liberatrice o oppressiva». O, ancora, la concezione dell’evoluzione dell’universo di Teilhard de Chardin (come processo di sempre maggiore complessità, dalla cosmogenesi alla biogenesi, e poi all’antropogenesi e alla noogenesi, fino al culmine del Punto Omega) in base a cui, sottolinea ancora il domenicano portoghese, Dio «è essenzialmente un Dio del futuro», il «senso finale di tutta l’evoluzione fisico-materiale e psichico-spirituale», immerso nel processo evolutivo ma senza esaurirsi in esso. O, infine, la visione di Sri Aurobindo, filosofo e mistico indiano, secondo cui il prossimo stadio dell’evoluzione, intesa non solo come processo materiale ma anche come dispiegamento progressivo della coscienza, sarà l’Essere Sopramentale, in grado di manifestare in se stesso la coscienza suprema, cioè le qualità divine: una proposta in base a cui «noi stessi siamo chiamati a partecipare a questo processo ingente dell’evoluzione, crescendo in coscienza».
Riguardo poi alla fede cristiana, se questa, secondo Roger Haight, dona alla spiritualità ecologica e a quella della liberazione una nuova profondità trascendente (la «promessa che il processo dell’evoluzione e della storia ha un significato e un valore permanenti»), ne viene a sua volta trasformata, tanto da assumere un nuovo linguaggio e una nuova rilevanza per la vita: essendo la creazione un’azione continua di Dio, in cui, evidenzia Haight, «Dio costituisce l’“interno” di tutti gli esseri come la causa del loro essere», dire che Dio è “là sopra” e “là fuori” distorce la sua trascendenza, proprio quella che «permette la presenza immanente di Dio in tutta la realtà». E quanto sia necessario rivedere il nostro linguaggio religioso in generale lo evidenzia chiaramente anche Birgit Weiler, ponendo l’accento su concezioni e immagini di Dio ormai inadeguate rispetto alle conoscenze scientifiche attuali sull’origine del cosmo e sullo sviluppo della vita nel pianeta: «Dio come grande architetto che dà a tutto il creato un disegno predeterminato e concluso. O Dio come un grande controllore che amministra tutti i processi dell’universo come un burattinaio muove i suoi burattini. O, ancora, il Dio patriarca che esercita un potere soffocante sulle sue creature».
Di seguito, in una nostra traduzione dallo spagnolo, ampi stralci dell’intervento del teologo spagnolo José Arregi, seguito dall’articolo del fisico brasiliano Marcelo Gleiser, rimandando, per una lettura completa del numero doppio di Voices, al sito http://InternationalTheologicalCommission.org/VOICES. (claudia fanti)
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