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Strana terra, strani umani

Tratto da: Adista Documenti n° 46 del 27/12/2014

È facile criticare gli esseri umani. Stiamo facendo un disastro di questo mondo. Ci ammazziamo tra di noi. Siamo incapaci di rispettare i diversi punti di vista. Siamo egoisti, distruttivi, parassitari. Ma, tra tante cose negative, è il momento di offrire un punto di vista alternativo, più costruttivo e spero stimolante. Il bombardamento mediatico in corso sul futuro planetario offre un’opportunità unica per riflettere sulla nostra relazione con il pianeta, non solo rispetto al riscaldamento e all’esplosione demografica mondiale in contrasto con la sostenibilità e le risorse legate all’energia verde, ma anche in una prospettiva più cosmica. Di più: offre l’opportunità di comprendere la dimensione spirituale della nostra connessione con il pianeta, e con la vita in generale, una dimensione che la vita moderna e la corsa contro il tempo rendono assai facile ignorare.

Al centro della descrizione scientifica del mondo, che ci è servita molto bene per secoli, c’è l’idea che quanto più apprendiamo sull’universo, meno importanti sembriamo. Si tratta di quello che a volte viene chiamato Principio di Copernico, o semplicemente copernicanesimo: allo stesso modo in cui Copernico ha tolto la Terra dal centro del cosmo, così, nella misura in cui la scienza avanza, il nostro posto e la nostra funzione nell’insieme delle cose diventano sempre meno importanti. Considerando che a tutto il cosmo si applicano le stesse leggi della fisica e della chimica, vi si incontrano altri soli, circondati da altri pianeti. Il nostro sistema solare è uno tra miliardi di altri e a quanto pare non molto importante.

Se teniamo conto degli insegnamenti della cosmologia moderna, le cose si presentano anche peggio. La nostra galassia, la Via Lattea, è una tra centinaia di miliardi nel cosmo, ciascuna con centinaia di miliardi di stelle. Nel 1929 Edwin Hubble dimostrò che l’universo è in espansione e che nessun punto nel cosmo è più importante di qualsiasi altro. Negli anni Novanta si propose una nuova idea radicale: che il nostro universo non è tutto quello che c’è, ma semplicemente uno tra innumerevoli universi che si muove in avanti in un regno eterno chiamato multiverso. Non sappiamo se il multiverso sia reale o meno, e può essere che non lo sapremo mai, come ho già commentato nel mio recente libro The Island of Knowledge: The Limits of Science and the Search for Meaning (L’isola della conoscenza: i limiti della scienza e la ricerca di significato, ndt), ma vi sono molte teorie cosmologiche moderne a sostenere l’idea. Siamo realmente così irrilevanti? O la scienza moderna può rovesciare questo argomento e offrire una prospettiva esistenziale più positiva del nostro posto nel cosmo?

Io sostengo che sia possibile. Quanto più apprendiamo dell’universo, tanto più impariamo qualcosa che contraddice il Principio di Copernico: sì, non occupiamo il centro del cosmo e, sì, la nostra galassia è una tra centinaia di miliardi. Tuttavia, come ci affacciamo verso i nostri vicini – quelli del sistema solare, i pianeti e le loro lune – non vediamo che ambienti freddi, morti e proibitivi. La nostra Terra si distingue come un’oasi, singolare e preziosa. Il «pallido puntino blu», come lo ha chiamato Carl Sagan.

A questo si aggiunga quello che abbiamo appreso sul come si è sviluppata la vita, durante gli ultimi 3,5 milioni di anni, e arriviamo così a quella che io considero una rivelazione trasformatrice: anche nel caso si trovi vita in un altro luogo del cosmo, la cosa più probabile è che tale vita extraterrestre sia semplice, fatta di organismi unicellulari (non mi avventurerò ora in nozioni speculative sulla vita). I numerosi salti qualitativi, dagli organismi unicellulari a quelli multicellulari, e poi fino agli esseri altamente intelligenti, sono immensamente improbabili, risultato di una serie di eventi accidentali, aleatori e irripetibili. Ogni pianeta ha una storia, e la vita sul pianeta riflette questa storia in maniera unica. Non ci sono due Terre nel cosmo, possiamo esserne sicuri.

Da ciò deriva che neppure vi sono altri esseri umani nel cosmo. Pur essendo il risultato di avvenimenti casuali, continuiamo ad essere unici e speciali. Il fatto che la vita non sia il risultato di una pianificazione deliberata cosmica o soprannaturale non vuol dire che non abbia senso. Anche qualora esista nelle altre parti del cosmo la vita complessa – e non possiamo dire che vi sia – è così lontana da noi che, a qualsiasi effetto pratico, è come se fossimo soli. E se siamo soli e abbiamo capacità di pensare, siamo rari, e preziosi. Per tutto quello che sappiamo, siamo l’universo che pensa se stesso. E se siamo rari e preziosi, abbiamo un altro motivo che deve condurci al di là della morale tribale divisiva che ha governato la nostra storia umana per millenni. Dobbiamo preservare la vita a ogni costo, essere i guardiani di questo mondo. Per contrastare il Principio Copernicano, propongo il “Principio umano centrico”: pur essendo rari, solo noi abbiamo il potere di mandare in rovina o di salvare questo prezioso mondo in cui viviamo. E non lo dico ingenuamente. Lo dico in maniera profondamente cosciente: se non correggiamo il nostro cammino, potremo dare solo a noi la colpa. A giudicare dall’evidenza accumulata nelle ultime migliaia di anni, nessuno, nessuna intelligenza aliena o nessun Dio, verrà in nostro soccorso. Siamo unicamente nelle nostre mani.

L’umanocentrismo propone una nuova forma di culto naturale, che esprime la nostra profonda connessione con il pianeta, la sola che ci permette di esistere. Tale connessione è chiaramente spirituale, anche quando si basa sulla fisica, non sui valori soprannaturali. La spiritualità non necessariamente si riferisce a un mondo di spiriti immateriali, può riferirsi anche a un sentimento di trascendenza che sperimentiamo quando ci esponiamo a qualcosa di più grande di noi stessi.

La nostra connessione con il pianeta è vitale per il nostro futuro collettivo, ed è vitale anche come forza unificatrice per un’umanità così divisa. Il nostro vincolo con la Terra è più che semplicemente utile: ci sta definendo, ci ispira, è essenziale. Siamo macchine molecolari capaci di avere coscienza di sé e di sperimantare il passare del tempo. Il fatto che ora sappiamo della nostra singolarità e della singolarità della nostra dimora planetaria, deve rafforzare la nostra decisione di ridefinire il nostro futuro, per rafforzare il nostro impegno nei confronti delle generazioni future. Non abbiamo il diritto di fare il contrario.

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