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UNA COMUNITÀ TRA VANGELO E DIRITTO CANONICO. IN UN LIBRO, I 60 ANNI DELL’ISOLOTTO

Tratto da: Adista Notizie n° 1 del 10/01/2015

37938 FIRENZE-ADISTA. La vicenda dell’Isolotto (periferia sud-ovest di Firenze, sulla riva sinistra dell’Arno, dove sorge la parrocchia che determinò l’evento simbolo del ’68 cattolico) è un’esperienza originalissima e affascinante. 

Quartiere inaugurato nel 1954 (e quindi quest’anno celebra i 60 anni di vita) per volontà di Mario Fabiani e Giorgio La Pira, doveva essere, nell’idea utopica del sindaco comunista e di quello pacifista, un modello di edilizia popolare, la prima “città satellite” nella storia d’Italia, un quartiere che, pur orbitando intorno alla metropoli, disponesse di servizi e strutture tali da renderla autonomo. Ci andarono ad abitare persone che avevano origini e storie molto diverse: venivano dalle campagne toscane, dal Mugello e dal Casentino, sfrattati e sfollati di altri quartieri di Firenze; e poi dall'Istria, dalla Dalmazia, dal sud Italia. 

Era la stagione di una forte solidarietà di classe, di un radicato senso di appartenenza comunitaria; un tempo in cui era possibile – correva l’anno 1958 – vedere gli operai della "Galileo" (importante fabbrica di strumenti scientifici) occupare, con il sostegno del sindaco La Pira e del card. Elia Della Costa, la fabbrica in seguito al licenziamento di circa mille lavoratori; e la parrocchia di S. Maria della Grazie guidata da don Enzo Mazzi ospitare in chiesa, col consenso del vescovo, un'assemblea popolare gestita dagli stessi operai, molti dei quali abitavano proprio in quel quartiere, mentre la parrocchia di Rifredi, nei pressi della quale si trovava la fabbrica occupata, celebrava una liturgia di solidarietà (cui prese parte p. Ernesto Balducci).

Nel panorama fiorentino di quel periodo, l’esperienza dell’Isolotto non appare isolata. Basta fare i nomi di Ernesto Balducci, David Maria Turoldo, Giulio Facibeni, Luigi Rosadoni, Giuseppe Vannucci, Lorenzo Milani e Bruno Borghi. In quel crogiuolo di vicende umane e politiche, ecclesiali e civili, prese avvio l’esperienza della Comunità di Base per anni animata da Enzo Mazzi, che venne letteralmente “espulsa” dall’arcivescovo di Firenze, il card. Ermenegildo Florit, per aver “osato” appoggiare i giovani che nel settembre 1968 avevano occupato il duomo di Parma per protestare contro la connivenza tra Chiesa e finanza, gerarchia cattolica ed interessi politico-finanziari.

Ricordare oggi quell’esperienza non è un esercizio accademico o un lusso storiografico. È esercizio della memoria, nel senso più pieno e radicale che ne ha dato lo stesso Enzo Mazzi: la memoria, infatti, scriveva Mazzi, collega alle proprie radici familiari, culturali, sociali; fornisce punti di riferimento; aiuta a sentirsi “adeguati” alla realtà circostante, inseriti in un processo storico. Dà, insomma, un senso all’azione personale e sociale. La memoria collettiva, poi, è qualcosa di più. È anche un luogo di resistenza rispetto ai sistemi di dominio che tendono sempre a frantumare il vivere sociale, l’ultimo baluardo rimasto in piedi a contrastare la marcia trionfale del neoliberismo mercantile globale. Il quale, diceva Mazzi, ha istituito una strategia d’oblio, tesa a disgregare e annullare la memoria e funzionale alla creazione di un’umanità di meri produttori-consumatori senza identità. 

Per questo è un atto sommamente politico e non retorico-celebrativo, o storico-memorialistico, la pubblicazione di un libro preziosissimo scritto da Sergio Gomiti, uno dei tre preti che assieme a Mazzi e a don Paolo Caciolli furono puniti con l’“esilio” ecclesiastico dal card. Florit assieme a tutta la comunità dell’Isolotto. Gomiti negli ultimi decenni ha curato con passione la raccolta di documenti, foto, testimonianze che ripercorrono puntualmente gli ormai 60 anni di vita del quartiere, della parrocchia, della comunità. Ne è nato il libro L’Isolotto, una comunità tra Vangelo e Diritto Canonico (Pozzo di Giacobbe, collana “Oi christianoi”, pp. 328, 26€: il libro può essere acquistato anche presso Adista, telefonando allo 06.6868692; scrivendo ad abbonamenti@adista.it o direttamente sul nostro sito, www.adista.it), che Gomiti scrive da protagonista e testimone, ma che è corredato da riferimenti alle fonti che lo rendono, assieme, un racconto appassionato e una ricostruzione dettagliata e rigorosa dei fatti; dove l’autore, quasi novantenne, nello stile che ha sempre contraddistinto la comunità dell’Isolotto, costruisce un’autobiografia collettiva ancor più che personale.

La vicenda dell’Isolotto diventa paradigmatica se solo confrontata con i recenti fatti di Tor Sapienza. Quello che avviene oggi è il risultato di scellerate politiche urbanistiche, dell’abbandono dei presidi democratici, della mancanza di una politica dell’accoglienza, della crisi e del disagio sociale che produce disoccupazione, devianza e microcriminalità. Il “cemento” delle comunità oggi non è la solidarietà e la lotta comune contro chi ti sottrae libertà, diritti, autonomia. Ma piuttosto la paura, l’invidia e il rancore; non contro chi si è arricchito, ha speculato, ha condannato alla marginalità migliaia di esseri umani, ma contro gli “ultimi”, gli “zingari”, gli immigrati, accusati di portare degrado, sporcizia, miseria e insicurezze. E di rubare lavoro. 

Ma c’è stato un tempo ed un luogo, e c’è ancora (questo libro aiuta a ricordarlo), in cui le comunità, fatte di persone con esperienze, storie, origini diverse si saldavano assieme con il “cemento” della solidarietà. Andando sempre, con il coraggio della libertà e dell’autonomia riconquistata, incontro all’altro. (valerio gigante)

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