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LA PACE SI PUÒ: LA ROAD MAP DELLE ASSOCIAZIONI PER SUPERARE LA CRISI LIBICA

Tratto da: Adista Notizie n° 8 del 28/02/2015

38004 ROMA-ADISTA. Un intervento volto a fermare in Libia l’avanzata dell’Isis (v. notizie precedenti) è stato auspicato con chiarezza dal segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin. Durante l’incontro del 17 febbraio con le autorità italiane per la ricorrenza della revisione dell’Accordo concordatario (firmato il 18/2/84), ha detto che «occorre intervenire presto, ma sotto l'ombrello Onu». Un’affermazione generica che rischia di far supporre un intervento anche in armi. 

Più articolate e propositive le prese di posizione di organismi di cattolici di base e pacifisti. Il religioso comboniano p. Alex Zanotelli, insieme al noto saggista e storico Angelo Del Boca, ha firmato un appello intitolato “No ad una seconda guerra in Libia!” chiedendo «alle autorità del nostro Paese di non commettere il gravissimo errore compiuto nel 2011 quando offrimmo sette delle nostre basi aeree e più tardi una flotta di cacciabombardieri per aggredire un Paese sovrano, violando, per cominciare, gli articoli 11, 52, 78 e 87 della nostra Costituzione». «In un solo caso – precisano i promotori dell’appello – l'Italia può intervenire», ma «nell'ambito di una missione di pace e dietro la precisa richiesta dei due governi di Tripoli e di Tobruk che oggi si affrontano in una sterile guerra civile. Ma anche in questo caso l'azione dell'Italia deve essere coordinata con altri Paesi europei e l'Unione Africana».

Secondo Pax Christi, «dare inizio a un'altra guerra significa aumentare l'orrore, aiutare il terrorismo, produrre altri profughi, viaggi disperati gestiti dalla malavita». Nel comunicato del 16 febbraio si rammenta che «l’Italia in Libia ha già dato militarmente (2011). Ne vediamo le conseguenze: distruzioni delle strutture amministrative, caos armato e terrorismo spietato contro il quale poi si invoca come "inevitabile" la guerra con una propaganda ben orchestrata. Chiediamo al nostro governo che, nel rispetto della Carta costituzionale, non si faccia catturare dai nuovi venti di guerra». Occorre piuttosto «bloccare la vendita delle armi e ogni rapporto con chi è a supporto dell'Isis», «aprire corridoi umanitari», avviare «misure che facilitino l'arrivo in sicurezza dei migranti, la legalizzazione di vie d'ingresso», «il contrasto alla criminalità che sfrutta e uccide le persone che lasciano i propri Paesi, spesso partendo proprio dalla Libia».

Una serie di suggerimenti per superare la crisi libica è contenuta anche nel testo congiunto delle “Reti Pacifiste e disarmiste”“ (Rete della Pace, Campagna Sbilanciamoci, Rete Italiana per il Disarmo) per le quali «guerra e intervento militare non sono soluzioni per la martoriata Libia». Fra l’altro : «Bloccare le fonti di finanziamento del terrorismo, la vendita delle armi e di petrolio, le complicità con i diversi gruppi di miliziani armati che imperversano nella regione. Un modo per non diventare complici in un conflitto che ci vede già molto responsabili, e per non essere “imprenditori di morte pronti a fornire armi a tutti” come ha ricordato oggi lo stesso papa Francesco» ; «sostenere la ricostruzione dell'assetto statuale libico, con tutte le forze della diplomazia e della politica, a partire dall'iniziativa dell'Onu per un accordo tra le parti»; ed ancora, «la comunità internazionale, sotto guida Onu e con l'impegno e la cooperazione della Lega Araba e dell'Organizzazione degli Stati africani, deve farsi garante e protettrice di un futuro accordo di pace, anche al fine di mettere alle strette Qatar, Arabia Saudita ed altri Paesi della regione che – in maniera ipocrita – sono responsabili nel sostegno e nella propagazione delle guerre in corso».

Per Flavio Lotti, della Tavola della Pace, «bisogna essere disponibili a costruire su basi diverse i nostri rapporti economici con quel Paese. Quello che noi proponiamo non è un intervento militare, ma di una forza di polizia internazionale delle Nazioni Unite, ai sensi del capitolo settimo e ottavo della carta delle Nazioni Unite. Quello di cui abbiamo bisogno è esattamente quello che facciamo quando si lotta contro la mafia. Non andiamo a bombardare ma usiamo l'intelligence e facciamo un lavoro di isolamento sul terreno».

Beppe Sini, del Centro di ricerca per la pace di Viterbo, in un comunicato del 17 febbraio osserva: «Le guerre terroriste e stragiste con cui la superpotenza statunitense ed i suoi alleati europei hanno destrutturato tre Stati – l'Iraq, la Libia e la Siria – in gran parte del loro territorio, hanno ovviamente creato zone franche in cui si sono insediati poteri criminali la cui ferocia si alimenta» anche della «più brutale cultura di massa occidentale (e della capacità di uso propagandistico dei social media da parte di macellai nativi digitali)». Aggiunge che delle religioni «tutti i massacratori fanno un uso così palesemente strumentale che chiunque capisce che qui è questione di ricerca e mantenimento di terrestrissimo potere politico ed economico, non di affermazione di valori ultimi». «E sono le nostre armi che traboccano sul mercato nero della morte ad armare le mani assassine tutte. E sono ancora le nostre guerre recenti e il nostro plurisecolare e ogni giorno crescente sfruttamento degli esseri umani e della natura ad aver provocato e provocare ogni giorno gli orrori e i disastri che costringono innumerevoli vittime alla fuga dalle loro case alla disperata ricerca di uno scampo dalle guerre, dalle dittature, dalla fame, dalla morte». (eletta cucuzza)

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