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Camilo Torres interroga ancora cristiani e marxisti

Camilo Torres interroga ancora cristiani e marxisti

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 7 del 20/02/2016

È straordinario osservare come, in America Latina, per tante persone Camilo Torres sia ancora vivo per il suo vissuto ed il suo insegnamento. Lo scrivo senza retorica, per esperienza diretta. È vivo nel conflitto tra antiliberismo e revanscismo del capitale multinazionale (che è in una fase di scontro aspro, convulso: basti pensare all'Argentina, al Venezuela, al Brasile stesso). È vivo nel processo di pacificazione, difficile ma reale, in Colombia. È vivo nella transizione del modello cubano. Così come è presente nelle culture indigeniste, bolivariane, zapatiste (in Chiapas, a S. Cristóbal, nella Chiesa che fu di Samuel Ruiz, abbiamo parlato di Torres). Cosa rappresentano, infatti, nella loro complessità, la memoria ed il vissuto di Torres? Il messaggio semplice, popolare, mi sembra questo: lavorare tra i poveri e con i poveri, portare condivisione, pratiche mutualistiche, induce ad oltrepassare la fase della carità per comprendere le ragioni dello sfruttamento, i motivi strutturali della povertà. Significa, cioè, prendere progressivamente coscienza che lo sfruttamento è nei rapporti di produzione e nei rapporti sociali capitalistici. Questo è il semplice, grande messaggio (che non è solo latinoamericano, ma che parla anche alle culture europee) di Torres. Una Teologia della Liberazione non accademica la sua, non chiusa nei seminari, ma praticata nell'asprezza del conflitto sociale, praticata anche nell'organizzazione rivoluzionaria; agìta, se necessario, anche con la lotta armata.

Torres maturò la coscienza critica anticapitalista attraverso lo studio dei processi di mondializzazione che, nella loro pervasività, portavano all’impoverimento di massa. Questo doveva indurre la Chiesa, secondo Torres, a rendersi più autonoma nei confronti dei suoi alleati di ieri (cioè le classi dominanti); avvicinandosi, invece, a quelle forze sociali antagoniste che, in America Latina, lottavano essenzialmente per la riforma agraria, contro i latifondisti. «Sarebbe l'occasione storica - affermò Giulio Girardi - per ritrovare l'unità della Chiesa  e per impegnare tutti i suoi membri a costruire insieme, al fianco di tanti credenti e non credenti, quella civiltà dell'amore, che potrà nascere solo da una ribellione di massa alla dittatura del mercato». Per Torres la Teologia della Liberazione nasce dalla connessione tra marxismo e Vangelo. È un programma di azioni individuali e collettive ed un insieme di valori che nascono dall'esperienza vissuta dei movimenti storici di liberazione ed emancipazione, messa a confronto con il messaggio di Gesù inteso in modo concreto. Come scrive Hans Küng, nel suo libro Il grido degli ultimi: la Chiesa dei poveri tra il Nord ed il Sud del mondo, «svilire il Vangelo attraverso un'ideologia sanzionata dalla Chiesa nell'interesse di una esigua casta di privilegiati significa porlo a garanzia di un ordine sociale retto e dominato da pochi; serve solo a quei pochi».

Torres, nella sua interpretazione della Teologia della Liberazione, si concentra su un punto fondamentale: non si deve, partendo dal Vangelo, difendere la proprietà privata ed il sistema capitalistico, presentando la socializzazione ed il socialismo come "anticristiani". Bisogna riconoscere al socialismo (innanzitutto al socialismo marxista) i suoi elementi di verità nell'analisi strutturale ed il suo potenziale di liberazione degli sfruttati. Un cristiano, in determinate condizioni sociali, può essere marxista e, quindi, anche "socialista". Certo, un cristiano può assumersi, con grande serietà, l'impegno per la liberazione; ma non è detto che debba accettare il modello socialista (o comunista) di produzione, di consumo, di educazione, di cultura, di rapporti sociali. Il Vangelo non può essere imposto teologicamente dall'alto, né interpretato come un programma politico di partito. Ma ci chiama a rispondere, a schierarci sulle grandi discriminanti della globalizzazione: la pace e la guerra (anzi, meglio, il disarmo unilaterale, la cooperazione, la "diplomazia dei popoli "); la società "meticcia", capace di coniugare cosmopolitismo e cittadinanza universale (siamo tutte e tutti cittadini del mondo); il rapporto tra pubblico e privato, privilegiando la gestione pubblica non burocratizzata, non statualizzata, ma "comune", socializzata. A me pare, in definitiva, che il messaggio di Torres sia tuttora di inattesa attualità, di fronte alle sfide quotidiane che questi tempi difficili ci pongono. 

Giovanni Russo Spena, già senatore e membro dei Cristiani per il Socialismo

* Immagine di bixentro, tratta dal sito Flickr. Licenza e immagine originale. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite 

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