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Islamofobia in salsa leghista: anche in Veneto una legge anti-moschee

Islamofobia in salsa leghista: anche in Veneto una legge anti-moschee

Tratto da: Adista Notizie n° 14 del 16/04/2016

38509 VENEZIA-ADISTA. Dalla tarda serata del 5 aprile, anche il Veneto è dotato di una norma cosiddetta anti-moschee, sulla falsariga di quella approvata dal Consiglio regionale della Lombardia nel gennaio 2015 e poi bocciata a distanza di un anno dalla Corte Costituzionale perché discriminatoria e incostituzionale. Il testo votato dai 30 consiglieri del centrodestra contro soli 8 contrari (Pd e Movimento 5 Stelle), in un clima che la stampa locale ha definito «da crociata», era stato licenziato dalla Seconda Commissione di Palazzo Ferro Fini lo scorso gennaio. Nel titolo propone “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio” e rappresenta la sintesi di due proposte di legge i cui primi firmatari sono il relatore della legge, il leghista Alessandro Montagnoli, e il collega “tosiano” Maurizio Conte. Sebbene nelle dichiarazioni ufficiali del relatore la normativa intenda solo offrire ai sindaci uno strumento per la regolazione dei luoghi di culto, senza per questo minacciare in alcun modo la libertà religiosa, la normativa approvata non fa che imporre ostacoli urbanistici e gravi oneri alla realizzazione di luoghi di preghiera, con l'obiettivo implicito di scoraggiare la realizzazione di nuove moschee. Meno diplomatica, ma forse più sincera, l'assessora all'Istruzione, la forzista Elena Donazzan, intervenuta ieri durante il dibattito in aula: «Noi abbiamo il dovere di governare questo tempo, che ci richiama a emergenze legate all’islam. Questo è un dibattito ideologico, giustamente ideologico, lo rivendico. Parigi e Bruxelles ci dimostrano cosa accade quando non si regolamentano i momenti di preghiera che sono, per i musulmani, anche momenti di aggregazione. Vogliamo aspettare che accada ciò che è accaduto in quelle città?».

Più stringente di così

La legge sui centri religiosi, che non si applica agli edifici già esistenti, impone restrizioni che coinvolgono non solo gli stessi luoghi di culto, ma anche le abitazioni dei ministri, le aree di ristoro e ricreazione (come gli oratori) e anche le sedi di associazioni, comunità e società le cui attività possono essere ricondotte a finalità religiose; richiede poi la presenza o l'adeguamento di una rete infrastrutturale idonea (ampie strade di comunicazione e parcheggi pubblici annessi), nonché il rispetto di distanze minime da luoghi di culto di altre confessioni. Ciliegina sulla torta, gli oneri dell'adeguamento infrastrutturale sono a carico della comunità religiosa che stipula la convenzione con il Comune, la quale contiene anche «un impegno fideiussorio adeguato a copertura degli impegni assunti». In definitiva, i nuovi luoghi di culto potranno essere costruiti quasi solo nelle periferie e pagando un conto salatissimo. Tra gli elementi più critici ci sono poi due emendamenti, inseriti in extremis nel “vecchio” impianto normativo, che hanno rafforzato il profilo islamofobo del testo di legge: quello dello stesso relatore, il consigliere Montagnoli, che obbliga gli imam a predicare in lingua italiana; e quello che concede la possibilità ai sindaci di indire referendum locali per ottenere il nulla osta popolare alla realizzazione dei luoghi di culto. Elemento, quest'ultimo, presente anche nella legge anti-moschee lombarda e che non era piaciuto affatto alla Consulta.

L'opposizione

Nei giorni precedenti il voto, le opposizioni del centrosinistra e del Movimento 5 Stelle sono salite sulle barricate per condannare il carattere fortemente discriminatorio di questa legge e per denunciarne gli aspetti più «ridicoli», che renderebbero impossibile realizzare anche chiese cattoliche, abitazioni di parroci o perpetue, manifestazioni e raduni come, ad esempio, quelli degli scout.

Un articolo comparso sul portale di informazione della diocesi di Venezia Gente Veneta lo scorso 2 aprile ha raccolto il commento del patriarca di Venezia, mons. Francesco Moraglia, il quale ha letto il testo di legge e ne ha discusso con altri rappresentanti delle confessioni cristiane prima del voto, sottolineando gli «elementi di perplessità e preoccupazione per l’esercizio del diritto, garantito dalla Costituzione, di libertà religiosa per il nostro territorio». La legge equipara la realizzazione di luoghi di culto a quella di centri commerciali o centri benessere confinandoli in aree lontane dai centri urbani, ha denunciato il patriarca, ma «la parrocchia è sempre sorta dove la gente vive, con le sue esigenze, urgenze e necessità quotidiane». Inoltre, ha aggiunto, «la libertà religiosa, rispettosa della coscienza altrui e amante delle buone regole e del vivere civile, deve oggi più che mai essere potenziata. Non restringiamone i confini! L’esercizio, anche pubblico, della fede è valore civile ed ecclesiale, che permette a tutti di esprimersi rispettando le altrui convinzioni». 

* La Grande Moschea di Roma. Immagine di Pina Sozio, tratta dal sito Flickr, licenzaimmagine originale. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite

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