
Africa: gli interessi stranieri fomentano l'instabilità e minacciano la pace
“La predazione dell'Africa genera soltanto più instabilità”: così titola un commento di p. Giulio Albanese (missionario comboniano, giornalista di lungo corso e direttore di Popoli e Missione) su Avvenire. Nel corso del tempo, ai vecchi coloni – come le potenze europee o gli Strati Uniti – si sono aggiunti, e spesso sostituiti, i Paesi cosiddetti emergenti (Cina, India, Brasile, Malaysia) i quali, affamati di terra e risorse del sottosuolo, hanno riversato sul Vecchio Continente fiumi di capitali. «Ciò ha determinato investimenti notevoli», segnala Albanese, «ma ha acuito a dismisura lo sfruttamento invasivo dei territori, la corruzione delle leadership locali e generato situazioni di conflittualità».
Il nodo della terra e delle sue risorse è centrale per comprendere la conflittualità diffusa in Africa: milizie irregolari controllano intere regioni minerarie per esempio in Repubblica Centrafricana, in Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan, alimentano traffici illeciti di minerali e ottengono “da fuori” forniture costanti di armi e denaro. Frammentazione e disgregazione attraversano gli Stati Africani da nord a sud. La divisione interna che domina il Sudan, nonostante l'uscita di scena di al-Bashir, e le crisi ancora in atto nel Darfur e sui monti Nuba; il «dissolvimento della Libia», che vede la contrapposizione tra Haftar e Sarraj ma anche la proliferazione di movimenti militari locali che aspirano a controllare piccole parti di territorio; la situazione esplosiva in Somalia, altro Stato africano in cui si assiste all'arretramento del governo centrale e la tracotanza di clan e tribù, molte delle quali radicalizzate, che controllano ampie aree geografiche; e poi c'è Boko Haram che tenta di spaccare in due la Nigeria, la jihad islamica che avanza senza tregua nel Sahel conquistando zone strategiche in Mali e Burkina Faso.
«È evidente – conclude Albanese – che in Africa sta avvenendo l’esatto contrario di quanto avevano sognato Leopold Sedar Sénghor e Kwame N’Krumah, padri del Panafricanesimo negli anni 50 del Novecento, i quali credevano in una sorta di federalismo continentale. Di fronte a questo scenario, le cancellerie europee sono tuttora divise tra loro nel giudizio, a volte contrapposte da miopi calcoli e inermi nell’azione diplomatica».
Immagine di Nick Youngson, Alpha Stock Images, tratta da Picserver.org. Immagine e licenza.
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