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Corridoi umanitari: una buona pratica ancora necessaria

Corridoi umanitari: una buona pratica ancora necessaria

Tratto da: Adista Documenti n° 22 del 15/06/2019

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Era il 3 marzo 2016 quando il presidente Sergio Mattarella dichiarò: «Il nostro Paese in questi anni è stato, e continua ad essere, all’avanguardia nella solidarietà. Lo è anche in questi giorni con i corridoi umanitari, accogliendo migranti e profughi che giungono da Paesi, da zone e da territori tormentati dalla guerra. Non ne facciamo un titolo di vanto, ma sappiamo che in questo modo osserviamo la nostra Costituzione, le varie Carte dei Diritti dell’Uomo, i principi di umanità che sono alla base della convivenza».

Tre anni dopo, lo scorso 28 aprile, gli ha fatto eco, nuovamente, papa Francesco: «Vi invito ad unirvi alla mia preghiera per i profughi che si trovano nei centri di detenzione in Libia, la cui situazione, già molto grave, è resa ancora più pericolosa dal conflitto in corso. Faccio appello perché specialmente le donne, i bambini e i malati possano essere al più presto evacuati attraverso corridoi umanitari».

È il segno di un ecumenismo della diaconia e del servizio ai migranti che in questi anni ha prodotto risultati di primaria importanza.

Il progetto dei corridoi umanitari è ancora attuale, urgente, necessario. La situazione in Libia, i continui sbarchi, le tragedie nel mare che non accennano a diminuire, nel contesto di criminalizzazione delle Ong che si occupano di salvataggi in mare, ci impongono in so- Itastanza di continuare il nostro impegno. Che è sempre più connesso al potenziamento delle relazioni con le Ong, Open Arms e Sea Watch in primis, che continuano, nonostante le difficoltà, a salvare vite umane in mare.

Ci augureremmo che tutti i migranti arrivassero in Italia in sicurezza. Ma così purtroppo non è. Proponiamo dunque un corridoio umanitario europeo dalla Libia e 50mila visti umanitari per evacuare il Paese e accogliere i profughi, negli Stati europei che si dichiareranno disponibili. Le testimonianze di chi è stato rinchiuso e torturato in Libia parlano  chiaro e richiedono un impegno concreto e urgente che deve comprendere anche la tutela del diritto all’asilo e alla protezione internazionale.

Nel frattempo, a fianco di questa proposta per evacuare la Libia, proseguiamo l’attività dei corridoi “ordinari”, il cui primo protocollo è stato firmato il 15 dicembre 2015 e due anni dopo, il 7 novembre 2017, ne è stato firmato uno analogo per il biennio 2018/19 per altri mille profughi.

Dal primo corridoio umanitario del 4 febbraio 2016 a oggi, da Beirut, oltre 20 corridoi umanitari distribuiti su circa 30 voli aerei hanno permesso l’accoglienza di oltre 1.500 persone, provenienti dalla Siria e in particolare da Aleppo, Homs, Idlib, Damasco.

Questa iniziativa, come molti già sanno, è frutto di una collaborazione ecumenica fra cattolici e protestanti: la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) attraverso il suo programma rifugiati e migranti Mediterranean Hope, le Chiese valdesi e metodiste, la Comunità di Sant’Egidio hanno unito le loro forze per un progetto di alto profilo umanitario, indirizzato a profughi in condizioni di vulnerabilità.

Nel momento in cui in Europa torna la tentazione della frammentazione, dell’autoreferenzialità e della costruzione dei muri, sia materiali che virtuali, i cristiani non possono che essere operatori di pace e costruttori di ponti.

I corridoi umanitari sono un ponte, appunto, e un ponte pienamente legale, sono infatti regolati da un precipuo Protocollo d’Intesa sottoscritto dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e dal Ministero dell’Interno con FCEI, Tavola Valdese e Comunità di Sant’Egidio. Quello che prevedono è, in estrema sintesi, l’assistenza legale ai beneficiari dei visti nella presentazione della domanda di protezione internazionale, l’ospitalità e l’accoglienza per un congruo periodo di tempo, il sostegno economico per il trasferimento in Italia e quello per il percorso di integrazione nel nostro Paese.

Gli ultimi arrivi si sono svolti lo scorso 28 marzo, con 50 profughi giunti in Italia in sicurezza e dignità dal Libano, e il 4 giugno, con altre 58 persone siriane provenienti da Beirut.

In totale, più di 1.500 persone giunte legalmente in Italia. E non solo in Italia, perché complessivamente in Europa fino ad ora oltre 2.400 donne, uomini e bambini sono stati accolti attraverso questa procedura. I corridoi umanitari “italiani” sono stati infatti replicati in diversi altri Paesi europei: una buona pratica che ha fatto scuola anche in Francia, Belgio e Andorra.

Come vengono selezionate le persone che arrivano in Italia? È questa una delle domande che più spesso pongono i giornalisti. Anzitutto, precisiamo che la nostra azione umanitaria è rivolta a tutte le persone indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa o etnica. Il criterio principale è la vulnerabilità di chi sceglie di partire: ad esempio, vittime di persecuzioni, torture e violenze, famiglie con bambini, donne sole, anziani, malati, persone con disabilità. Ci sono situazioni e storie che esigono risposte particolari, più urgenti di altre. È il caso ad esempio di due giovani fratelli siriano-palestinesi, arrivati in Italia lo scorso marzo: uno è gravemente malato, affetto da leucemia, l’altro sta cercando di aiutarlo, avendogli donato il proprio midollo. I due ragazzi, M.Z., 22enne, e il fratello maggiore, il donatore di midollo, M., nato nel 1986, sono arrivati da soli, quindi nell’ambito dei corridoi umanitari ma con un volo specifico, in una data determinata dall’emergenza della malattia, da Beirut a Roma, e sono stati poi trasferiti all’ospedale di Padova, presso il quale il fratello più piccolo è stato sottoposto al trapianto necessario e alle relative terapie. Inoltre, per decidere chi possa partire, venire accolto e poi decidere della propria vita, in condizioni dignitose e speriamo di relativo benessere, si valutano altri parametri legati appunto proprio alla reale possibilità di futuro inserimento nel contesto di arrivo.

Ci avvaliamo di contatti diretti in Libano, dove sono presenti alcuni nostri operatori che periodicamente svolgono colloqui con le famiglie e le persone che vorrebbero essere incluse nel progetto, o segnalazioni fornite da organizzazioni non governative, associazioni, organismi internazionali, Chiese e organismi ecumenici coi quali collaboriamo.

I sodalizi predispongono una lista di potenziali beneficiari, quindi la segnalazione viene verificata prima dai responsabili delle associazioni, poi dalle autorità italiane. A quel punto le liste dei potenziali beneficiari vengono trasmesse alle autorità consolari italiane dei Paesi coinvolti per permetterne il controllo. Se l’iter va a buon fine, i consolati italiani nei Paesi interessati rilasciano infine dei “visti con validità territoriale limitata”, ovvero i visti per motivi umanitari o di interesse nazionale o in virtù di obblighi internazionali. E chi paga? Nessun onere economico per lo Stato italiano: l’accoglienza e l’integrazione sono a carico delle organizzazioni promotrici. I fondi per la realizzazione del progetto provengono infatti in larga parte dall’8 per mille dell’Unione delle Chiese metodiste e valdesi, ma anche da altre raccolte e donazioni, come la Campagna lanciata dalla Comunità di Sant’Egidio.

Le Chiese e la società civile sono arrivate insomma a fare quello che spetterebbe agli Stati. Non a caso prima delle elezioni europee il comitato esecutivo della Commissione delle Chiese per i migranti in Europa (CCME) – agenzia ecumenica su migrazione, integrazione, rifugiati, asilo, contro il razzismo e la discriminazione in Europa, che si è riunito a Bruxelles – ha elaborato piani futuri fra i quali quelli relativi alle azioni da intraprendere di fronte al nuovo Parlamento Europeo, con particolare attenzione al tema dei passaggi sicuri, dei corridoi umanitari, e alle questioni di sicurezza in merito a procedure dignitose di rimpatrio. E ci aspettiamo che, passata la tornata elettorale, si possa forse tornare a sedersi attorno a un tavolo per capire come poter affrontare il problema sempre sotto l’egida del motto «chi salva una vita salva il mondo intero». 

Mediterranean Hope è un progetto di accoglienza della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia

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