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Iraq, Chiesa caldea promuove digiuno di preghiera per la pace

Iraq, Chiesa caldea promuove digiuno di preghiera per la pace

 

È in corso il secondo dei tre giorni di digiuno che mons. Louis Raphael Sako, Patriarca di Babilonia dei caldei, ha chiesto ai fedeli come preghiera affinchè in Iraq torni pace e stabilità (Fides 11/11). Il Primate della Chiesa caldea è inoltre tornato ad esprimere la propria solidarietà e sostegno ai manifestanti che da inizio ottobre protestano contro il governo e le cui rivendicazioni, represse nel sangue, hanno finora causato la morte di 320 iracheni, tra militari e (soprattutto) civili. Insieme al digiuno, il porporato ha invitato i fedeli a recitare la preghiera diffusa il 4 novembre scorso nella cattedrale di san Giuseppe a Baghdad, a seguito dell’incontro, avvenuto il 29 ottobre, tra i leader delle Chiese irachene presso la sede del Patriarcato caldeo ad Al-Mansour.

Secondo il prelato, si legge in una nota diffusa da Asianews (11/11), il problema dell’Iraq e della maggior parte dei Paesi arabi, lungi dall’afferire alla politica, riguarda la cultura e la spiritualità ed è legato «all’educazione» in famiglia e in comunità «irta di preconcetti, costumi e pratiche desuete» che «non si basano sulla ragione e sulla analisi». Il ladro, il corrotto, l’estremista o il tiranno dominano «perché manca una motivazione religiosa, spirituale e morale» forte e salda, afferma il patriarca caldeo. Nonostante questo, i giovani avrebbero trovato nell’unità nazionale un nuovo stendardo sotto il quale costruire una rinnovata identità irachena, priva di fazioni contrapposte, rovesciando «il settarismo». Le dimostrazioni di queste settimane, avverte, «sono una reazione spontanea» alle «sofferenze» degli anni passati, che abbisognano di una lettura attenta a partire «dall’invasione Usa del 2003». Proprio dall’ambasciata statunitense a Baghdad è arrivata una nota in cui si caldeggiano elezioni anticipate nel Paese, scrive ancora l’agenzia Fides. Il comunicato del portavoce della Casa Bianca segnala come gli «Stati Uniti siano fortemente preoccupati per i continui attacchi contro i manifestanti, attivisti e media, così come per le restrizioni all'accesso a internet in Iraq», giudicando le proteste come una comprensibile reazione davanti all’accrescersi dell’influenza iraniana in Iraq.

Sul caos regnante nel Paese è intervenuto anche l’ausiliare di Baghdad, mons. Shlemon Warduni, secondo il quale il motore della rivolta è rappresentato dalla parte più giovane della popolazione «che non ha lavoro, che ha finito le scuole e non sa cosa fare», e che al contrario si rende conto dell’indolenza di alcune persone che «non guardano al bene comune» e «non si curano dell’interesse di tutti». I ragazzi e le ragazze scesi in piazza, ha detto ancora il prelato ad Asianews, «non guardano in faccia alla religione, l’etnia, ma vogliono solo il bene del Paese».

Preoccupazione è stata infine espressa anche dalla missione Onu in Iraq (Unami), che scongiurando l’uso «di proiettili» o «l’uso improprio di mezzi non letali» come i gas lacrimogeni da parte delle forze dell’ordine, ha denunciato un «clima di paura» invocando il rilascio dei manifestanti arrestati in queste settimane e una inchiesta sui sequestri in circostanze misteriose di attivisti e medici, prelevati [secondo diverse ong] da membri delle forze di sicurezza o da gruppi armati.

 

*Foto di Aziz1005 tratta da Wikimedia Commons. Immagine originale e licenza

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