
«La patria è l'umanità»: medici cubani in Italia e nel mondo
La vicenda dei medici cubani atterrati a Malpensa in piena emergenza Covid-19 non rappresenta un gesto di solidarietà isolato, dettato dalla particolare crisi sanitaria globale, ma «affonda le sue radici nella storia tormentata e appassionante del sistema sanitario cubano». Ne parla sul manifesto Marinella Correggia, ecopacifista, giornalista, saggista e lavoratrice manuale, esperta di giustizia ambientale e climatica, pace e diritti umani. L’autrice collabora con diverse testate, tra le quali Altreconomia, il manifesto e Adista. «All’inizio della primavera silenziosa 2020 – racconta Correggia – una missione medica di Cuba è volata per la prima volta in un paese occidentale, membro ben armato della Nato e indifeso davanti a un virus. È solo l’ultimo atto di un internazionalismo sanitario esercitato da sessant’anni giusti in America Latina, Africa e Asia e che conta attualmente oltre 30mila operatori (medici, infermieri, tecnici) in 67 Paesi. Le ultime missioni – non solo in Italia – partecipano alla campagna mondiale contro la pandemia del Covid-19. Perché “la patria è l’intera umanità”».
Sin dagli anni Sessanta, mentre il mondo inviava armi e soldati, Cuba ha deciso di vivere così la sua rivoluzione: opponendosi alle guerre, inviando in giro per il mondo un “esercito di camici bianchi”, considerando la solidarietà sanitaria globale come il «completamento del sistema nazionale di salute».
L’elenco delle forme di sostegno sanitario cubano al mondo intero è lungo: all’inizio Cuba ha puntato verso il Sud del mondo, per sostenere i processi di transizione postcoloniale dei Paesi africani e latinoamericani. Un impegno che si è poi consolidato nel tempo, in contesti vessati da povertà, guerre e emergenze sanitarie (come la recente epidemia di ebola). E poi la presenza per i bambini di Chernobyl dopo il 1986; i 100 medici e infermieri inviati nel 1998 ad Haiti, Guatemala e Honduras in sostegno delle popolazioni colpite dagli uragani Mitch e George; il programma di cooperazione internazionale, partito sempre nel ‘98, con i Paesi più poveri per rafforzare i loro sistemi sanitari; la Scuola Latinoamericana di Medicina (Elam), nata a L’Avana per formare decine di migliaia di giovani medici provenienti da Africa, Asia e America Latina, «con la clausola che vi ritornino a curare».
A Cuba, racconta Marinella Correggia, il personale medico continua a crescere: «le cifre aggiornate all’attualità parlano di 76.000 medici, 15.000 dentisti, 89.000 infermieri». Cuba decide di inviare medici nel Venezuela di Hugo Chávez in cambio di petrolio. Poi, sempre nell’ambito dell’alleanza latinoamericana bolivariana Alba, esporta medici in Bolivia ed Ecuador. Personale cubano è stato convocato persino da Jair Bolsonaro per far fronte alla carenza di medici nelle regioni brasiliane indigene.
Cuba, insomma, che non è propriamente il Paese più potente e ricco del mondo, rappresenta secondo l’autrice un «modello da seguire nella gestione dei disastri a casa propria», e «continua a intervenire anche nelle emergenze» (uragani, terremoti, inondazioni, ecc.) in tutto il mondo, con personale e materiale tecnico, con competenza, solidarietà e innovazione.
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