
Stefano Zamagni: guarire questo modello economico si può
«Questi sintomi di disuguaglianza rivelano una malattia sociale; è un virus che viene da un’economia malata. E dobbiamo dirlo semplicemente: l’economia è malata». Questa la diagnosi di papa Francesco nella catechesi di ieri 26 agosto. Ha seguitato parlando dei sintomi e richiamando alla responsabilità di tutti per approntare una cura: «Quando l’ossessione di possedere e dominare esclude milioni di persone dai beni primari; quando la disuguaglianza economica e tecnologica è tale da lacerare il tessuto sociale; e quando la dipendenza da un progresso materiale illimitato minaccia la casa comune, allora non possiamo stare a guardare. No, questo è desolante. Non possiamo stare a guardare! Con lo sguardo fisso su Gesù e con la certezza che il suo amore opera mediante la comunità dei suoi discepoli, dobbiamo agire tutti insieme, nella speranza di generare qualcosa di diverso e di meglio».
Per individuare quel “qualcosa di diverso e di meglio”, Vatican News si è rivolto oggi a Stefano Zamagni, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali ed economista di chiara fama.
Zamagni innanzitutto precisa che Francesco non vuole camabiare modello economico, ma solo «guarire l’attuale modello economico dalla sua malattia. Il Papa è a favore di un ordine di mercato che però non "avverta" le due grosse malattie di cui, appunto, si è fatto cenno». L’economista osserva che «questa trasformazione dall’interno è oggi possibile, operando su più fronti che però devono essere convergenti. Fino a tempi recenti, si era pensato che bastasse aumentare la ricchezza, aumentare il reddito nazionale, perché poi tutto si sarebbe aggiustato. Abbiamo visto cosa è successo: il reddito è aumento a livello globale, ma di pari tempo, sono aumentate le diseguaglianze».
Consequenziale la domanda del giornlista: ma «come si possono in qualche modo attenuare queste storture?». «Basta volerlo – risponde Zamagni – perché dal punto di vista tecnico si può. Il primo bisogno è cambiare le regole di funzionamento dei mercati finanziari. La finanza è malata perché è basata su leggi sbagliate. Bisogna che i governi si mettano una buona volta attorno ad un tavolo e dicano: “Riscriviamo i codici”. Ad esempio, chiudere i paradisi fiscali, perché oggi sono una delle prima cause dell’aumento delle diseguaglianze. Secondo, bisogna fare in modo che la finanza sia posta al servizio dell’economia reale. Oggi è vero il contrario. Da secoli, la finanza serviva per aiutare le imprese, le famiglie, tutti coloro che avevano bisogno di strumenti, e anche su questo serve scrivere: basta con l’autoreferenzialità. Perché la finanza non produce valore aggiunto, lo redistribuisce. Questo un po’ può essere tollerato ma oggi è diventato macro evidente come la crisi del 2007-2008 e la successiva hanno evidenziato. Terzo: basta dire che il fine dell’impresa non è solo la massimizzazione del profitto; gli stessi grandi imprenditori americani nell’ultima dichiarazione, che risale a dieci giorni, fa dicevano: “Vogliamo un’economia che abbia come primo fine non la massimizzazione del profitto dei vari azionisti, ma la produzione di valore sociale”».
Ma «vicino ai beni privati e ai beni pubblici», sottolinea l’economista, «ci sono i beni comuni. L’ambiente è un bene comune; l’acqua è un bene comune; il vaccino contro il Coronavirus, ad esempio, è un bene comune, cioè sono beni che non sono né del singolo né dell’ente pubblico, dello Stato ma sono della comunità. Per rivitalizzare la logica dei beni comuni, c’è bisogno di comunità, cioè di gruppi di persone che realizzano concretamente, nella loro quotidianità, la logica applicativa dei beni comuni. Ecco allora che l’invito del Papa va letto così: “Voi, comunità cristiane, adoperatevi”. Bisogna far decollare questo con testimonianze concrete, che stanno già avvenendo, di realtà di persone che si aggregano per applicare la logica dei beni comuni. Ecco perché sono nate ad, esempio, le cooperative di comunità».
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