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Prevenzione, collaborazione, solidarietà: come l’Africa tiene a bada il Covid

Prevenzione, collaborazione, solidarietà: come l’Africa tiene a bada il Covid

Ci sono cose che i cosiddetti Paesi in via di sviluppo potrebbero insegnare sulla gestione delle pandemie ai “cugini” ricchi e che questi ultimi però, per complesso di superiorità e sprezzo del pericolo, non vogliono imparare. È quanto sostiene Ifeanyi M Nsofor, medico e ricercatore nigeriano, in un libro che ha scritto insieme a Maru Mormina, che si occupa di etica per l’Università di Oxfor. Delle loro affermazioni parla la Africa - la “rivista del continente vero”, si legge nel sito africarivista.it – nell’articolo “Covid-19, le lezioni dell’Africa per l’Europa”.

Intanto i numeri. «Nsofor e Mormina – leggiamo - osservano che, a nove mesi dall’inizio della pandemia, Europa e NordAmerica rimangono le regioni più colpite dal Covid-19. Dieci dei 20 paesi con il più alto numero di morti per milione di persone sono europei. Gli altri dieci sono nelle Americhe. Fatte salve le dovute eccezioni, Africa e Asia sembrano essere state complessivamente risparmiate. E vari Paesi stanno gradualmente riavvicinandosi alla normalità». Numeri significativi, anche se la discrepanza con quelli dei Paesi ricchi, è stato affermato, «può dipendere in parte da una differenza di approccio nella registrazione dei decessi, dall’età media più giovane degli abitanti o anche dai livelli più alti di anticorpi potenzialmente protettivi». Sia come sia, «testimonianze dirette di chi vive, per esempio, in Senegal o in Ghana, confermano tutto un altro trend rispetto alla situazione europea e americana. C’è stato, da parte dei Paesi africani e asiatici, un modo diverso di approcciare il problema».

Quali sono le differenze? Innanzitutto, «quando le risorse sono limitate, il contenimento e la prevenzione sono le migliori strategie» ed è quello che è stato fatto per esempio, come ha fatto l’isola Mauritius, ma anche la Nigeria, il Senegal e altri Paesi, iniziando a controllare gli arrivi negli aeroporti e mettere in quarantena i visitatori dai paesi ad alto rischio due mesi prima che il primo caso mauriziano fosse rilevato.

Un altro aspetto rilevante riguarda la collaborazione. «I leader africani hanno anche mostrato un forte desiderio di lavorare insieme per combattere il virus, un’eredità dell’epidemia di Ebola dell’Africa occidentale del 2013-2016 – si legge nel libro – Questa epidemia ha sottolineato che le malattie infettive non rispettano i confini e ha portato l’Unione africana a istituire i Centri africani per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC)». Con qualche punta di negazionismo istituzionale, bisogna ammettere, come in Tanzania. L’Unione africana ha anche istituito una piattaforma continentale – l’Africa Medical Supplies Platform (AMSP) – per contenere i costi di approvvigionamento delle forniture mediche e di laboratorio e per evitare situazioni concorrenziali.

Un altro aspetto molto importante, si sottolinea ancora, riguarda «l’innovazione, quella vera e frugale». All’inizio della pandemia, riferisce Africa, «il Senegal ha iniziato a sviluppare un test Covid-19 veloce ed economico (costo: meno di 1 dollaro) che non richiede sofisticate apparecchiature di laboratorio. Allo stesso modo, gli scienziati in Rwanda hanno sviluppato un algoritmo intelligente che ha permesso loro di testare molti campioni contemporaneamente unendoli insieme. Ciò ha ridotto i costi e i tempi di consegna, e ha permesso di raccogliere dati più completi e coerenti anche sull’andamento della malattiaLa pandemia ha dimostrato perché abbiamo bisogno di solidarietà globale. La globalizzazione ha reso i Paesi interdipendenti, non solo economicamente ma anche biologicamente». (Per l'articolo integrale vedi qui).

*Foto di Kontaktabzug tratta da Flickr, immagine originale e licenza

 

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