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Myanmar: più di 700 morti, perquisite anche le chiese. Ma le proteste proseguono

Myanmar: più di 700 morti, perquisite anche le chiese. Ma le proteste proseguono

Gli oppositori al colpo di stato militare hanno continuato a manifestare nonostante la repressione delle forze di sicurezza che dal colpo di stato del 1 febbraio ha provocato la morte di oltre 700 civili, di cui 82 solo venerdì scorso a Bago, nord-est di Yangon (la capitale del Paese), secondo il conteggio tenuto dall'Associazione per l'assistenza ai prigionieri politici (AAPP). Una bomba è esplosa domenica a Mandalay, la seconda città più grande del Myanmar, di fronte alla filiale principale della banca Myawaddy di proprietà militare, ferendo una guardia di sicurezza, secondo quanto riportato dai media locali. L'Unione Europea nel frattempo ha accusato Russia e Cina di bloccare qualsiasi iniziativa diplomatica per fermare la violenza.

L’ Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Jospe Borrell, ha pubblicato una nota nella quale afferma fra altre cose: «anche di fronte a tanta brutalità, gli interessi geopolitici dividno la comunità internazionale e ostacolano una risposta coordinata alla crisi in atto. Il Myanmar confina con i due paesi più grandi del mondo per popolazione: Cina e India. La sua posizione lo rende un punto strategico per la ‘Belt and Road Initiative’ cinese (la moderna via della seta per implementare gli scambi commerciali di Pechino in Asia e occidente, ndr), ma anche per il corridoio dell'India verso il Mar Cinese Meridionale. Anche altri paesi come il Giappone, la Corea del Sud e Singapore hanno forti interessi economici in Myanmar. E la Russia è il secondo fornitore di armi del Paese, dopo la Cina». In questo quadro, prosegue Borrell, «non sorprende che Russia e Cina stiano bloccando i tentativi del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di imporre, ad esempio, un embargo sulle armi. La Cina è desiderosa di proteggere i suoi interessi strategici nel paese e ha definito il colpo di stato "un grande rimpasto di governo", mentre la Russia insiste sul fatto che si tratta di una questione puramente "interna". La scorsa settimana, Alexander Fomin, vice ministro della Difesa russo, è stato il più alto funzionario straniero a partecipare alla parata militare nel giorno dedicato alle forze armate del Myanmar, quando altri, compresi i paesi asiatici, hanno ridotto il loro livello di rappresentanza».

Nonostante la violenza militare, i manifestanti hanno continuato a radunarsi per scendere in strada, cosa che è avvenuta anche domenica mattina, soprattutto a Mandalay e Meiktila dove gli studenti universitari ei loro insegnanti hanno marciato per le strade alcuni indossavano simbolicamente steli di fiori di eugenia, chiamati «vittoria». Nel sobborgo di South Okkalapa vicino a Yangon, i manifestanti hanno mostrato uno striscione sul quale era scritto: «Vinceremo, vinceremo». Il golpe per altro ha suscitato la reazione di varie minoranze etniche e delle rispettive milizie che in più occasioni hanno attaccato le forze di sicurezza.

Da rilevare, poi, che la resistenza non violenta messa in atto da religiosi cattolici e di altre chiese nonché dalle diverse comunità di credenti, ha suscitato la reazione aggressiva dell’esercito. I militati hanno infatti condotto diverse perquisizioni all’interno di chiese cristiane in un Paese a grande maggioranza buddista. La sera dell’8 aprile, almeno quattro chiese cattoliche, nei villaggi della diocesi di Pathein (regione dell’Irrawaddy), sono state perquisite da polizia e soldati alla ricerca di presunte attività illegali e di attivisti anti-golpisti, riporta l’agenzia Ucanews. A ridosso della pasqua, inoltre, nello stato di Kachin, dove è più forte la presenza cristiana, i militari hanno fatto irruzione in chiese cattoliche, battiste e anglicane. Il 3 aprile uomini della sicurezza hanno perquisito anche la chiesa cattolica di Mandalay, la seconda città più grande del Myanmar. Intanto il conflitto interno sta muovendo ondate di sfollati interni che si dirigono verso i confini con la Thailandia e l’India.

Il cardinale Charles Bo, arcivescovo di Yangon, da parte sua, ha invitato i cittadini del Myanmar, che stanno assistendo a spietate uccisioni da parte delle forze di sicurezza, a non rinunciare alla speranza perché la loro lotta avrà successo. Bo ha denunciato, una volta di più, il «bagno di sangue» che sta scuotendo il Paese: «giovani e vecchi e persino bambini sono stati uccisi senza pietà». Durante l’omelia della messa di Pasqua, il cardinale ha quindi affermato: «La via crucis del Myanmar non avverrà invano. Finirà infatti con la resurrezione della libertà, della democrazia, della pace e della prosperità per tutti».

 

 

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