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Il sociologo Angelo Palmieri: un cambio di strategia nel prendersi cura

Il sociologo Angelo Palmieri: un cambio di strategia nel prendersi cura

«Per rilanciare il tema dell’assistenza territoriale a forte connotazione sociosanitaria si rende indispensabile un piano di investimento che sappia allocare le risorse con una chiara visione strategica partecipata da tutta la comunità. Insomma, una strategia che poggi saldamente su un approccio nuovo al tema della salute, con interventi sostenibili e capaci di produrre innovazione sociale e implementazione del sistema di welfare nonché di dare pronta risposta ai nuovi bisogni che la nostra società in continua evoluzione esprime». Su questo tema verte l'articolo del sociologo e progettista sociale Angelo Palmieri che pubblichiamo di seguito.

 

Tra le politiche di welfare l’integrazione sociosanitaria è un’esigenza fin troppo avvertita nel nostro Paese a partire dagli anni Settanta del XX secolo, affermandosi come principio fondante di tutto il sistema sanitario, sociale ed educativo italiano. In effetti la nascita di un sistema sanitario universalistico ha realizzato l’obiettivo di erogare prestazioni con un alto grado di coordinamento fra componenti sociali e sanitarie, facendo dell’integrazione uno dei principi fondamentali. Nel corso degli ultimi anni, anche in conseguenza della emergenza sanitaria in atto, il tema ha assunto maggiore rilevanza, a seguito delle due tendenze fondamentali che specificano il nostro servizio sanitario nazionale.

La prima riguarda il versante della domanda dei servizi sanitari a seguito dei cambiamenti demografici, socioeconomici e culturali verificatisi che hanno determinato un aumento dei bisogni da parte delle fasce più deboli della popolazione; la seconda, invece, interessa il versante dell’offerta. La politica della tutela della salute, a livello nazionale e internazionale, ha promosso la crescente specializzazione da parte delle strutture che erogano prestazioni. Nell’attuale “modello” di sanità, unità operative specialistiche, dipartimenti, presidi ospedalieri e distretti rappresentano strutture organizzative che riflettono all’interno delle aziende sanitarie un elevato livello di specializzazione professionale. Tale scenario implica una modifica sostanziale della domanda dei servizi con un incremento di quelli di natura sociosanitaria, connessi alla crescita della prevalenza di malattie cronico-degenerative. Nel contempo, in forte controtendenza rispetto ai processi di aziendalizzazione, autonomia e accountability delle strutture sanitarie, si assiste, oggi che siamo in fase di emergenza sanitaria, a una maggiore necessità di assicurare interventi di alta qualità, più estesi rispetto al passato e collegati tra loro dal punto di vista clinico oltre che organizzativo.

L’interesse è concentrato non solo sulle prestazioni erogate e sulle performances di cura, ma anche e soprattutto sui processi organizzativi atti a consentire l’erogazione delle prestazioni. Da questo punto di vista, uno degli aspetti su cui ricercatori, operatori e decisori hanno posto molta attenzione nel corso degli anni è la continuità assistenziale, che può essere intesa come il livello attraverso il quale una serie di eventi correlati alla condizione di un paziente viene coordinata da uno o più interlocutori sanitari, con l’obiettivo di dare una risposta appropriata alla problematica di salute del paziente. La continuità assistenziale permette una risposta adeguata, in termini di efficacia delle cure, efficienza gestionale e appropriatezza, soprattutto per tutti i pazienti affetti da patologie concomitanti e costituisce oggi un elemento essenziale in tutta una serie di ambiti di grande rilevanza, quali il trattamento delle patologie cronico-degenerative, le cure psichiatriche e altre forme di assistenza di comunità. L’area dell’integrazione richiede un cambiamento di prospettiva rilevante nell’azione organizzativa, con un focus organizzativo, che si sposta da strutture gerarchiche e funzioni organizzative a processi - a valenza sociale, clinica e riabilitativa - incentrati sul paziente-persona. Si rende ancor più necessaria l’adozione di politiche tese a potenziare il territorio in quanto primaria sede di assistenza e di regolamentazione dei percorsi sanitari e sociosanitari. Tutto questo ribalta il sistema tradizionale di offerta sanitaria fondato prioritariamente su una visione “ospedalocentrica” - nell’attuale gestione pandemica se ne vedono gli effetti distorsivi - e sottolinea l’urgenza di realizzare una forte integrazione delle diverse componenti assistenziali. Solo in questo modo è possibile rispondere alla complessità del bisogno di salute delle persone, valutando il patrimonio genetico, l’ambiente, gli stili di vita, la storia personale e familiare.

I fattori da considerare sono molteplici, dall’intensità degli stessi (fase intensiva, estensiva, di lungo-assistenza) alla loro durata (breve, media, lunga), dal costo degli interventi all’apporto dei diversi erogatori delle prestazioni, siano essi enti pubblici o enti del terzo settore. Si avverte, dunque, in maniera sempre più intensa sul piano dell’offerta, la necessità di approntare sistemi di servizi capaci di contemperare azioni di miglioramento della qualità e di risposta efficace ai bisogni della domanda, spostando l’attenzione sul territorio quale soggetto attivo che intercetta il bisogno sanitario e si fa carico in modo unitario e integrale delle necessità del cittadino-paziente. Occorre ripensare al “territorio come ad un complesso sistema, ovvero di una rete di “care”, in cui il benessere individuale e collettivo viene a configurarsi come il risultato dell’azione congiunta di più attori e soggetti diversamente collocati e correlati in una società-rete” (Ghiotto). Ciò sarebbe auspicabile al fine di poter orientare le politiche strategiche delle aziende in direzione della presa in carico dei bisogni secondo un modello di continuità dell’assistenza. Occorrerà, inoltre, ripensare ai diversi servizi domiciliari, tuttora insufficienti, alle strutture per disabili, magari con formule innovative, alla sperimentazione di forme associative e assistenziali innovative. In tal senso, ora più che mai è il tempo favorevole per l’implementazione e il potenziamento di modelli istituzionali di integrazione, già previsti nei piani sociosanitari di molte regioni che consentirebbero di verificare sia la concreta possibilità di presa in carico del cittadino in riferimento a tutte le attività socioassistenziali sia un maggiore coordinamento con le strutture ospedaliere per quanto riguarda le proprie prestazioni. Lo sviluppo delle politiche di integrazione prevede una gestione unitaria dei servizi in ambiti territoriali omogenei, creando un continuum tra sistemi preposti alla cura della salute e sistemi addetti alla protezione sociale. Per di più assicura il potenziamento dei distretti sociosanitari quali centri di riferimento dei cittadini e sede dell’integrazione operativa, una più efficace programmazione territoriale, la complementarietà tra pubblico e privato attraverso il riconoscimento alle formazioni sociali di una soggettività di rilievo pubblico anche nella programmazione dei servizi. È del tutto evidente che per poter rilanciare il tema dell’assistenza territoriale a forte connotazione sociosanitaria si rende indispensabile un piano di investimento che sappia allocare le risorse con una chiara visione strategica partecipata da tutta la comunità. Insomma, una strategia che poggi saldamente su un approccio nuovo al tema della salute, con interventi sostenibili e capaci di produrre innovazione sociale e implementazione del sistema di welfare nonché di dare pronta risposta ai nuovi bisogni che la nostra società in continua evoluzione esprime. Occorre accettare la sfida di mettersi in gioco e di coniugare azioni politiche più efficaci che abbiano al centro di attenzione il cittadino e la comunità nel suo insieme.

* foto di Nick Youngson, CC BY-SA 3.0 Alpha Stock Images

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