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Vaccini: quando il business è più forte del bene comune

Vaccini: quando il business è più forte del bene comune

Il mondo si divide fra ricchi, sempre più ricchi, e poveri, sempre più poveri, ci ricorda Giulio Marcon in un editoriale pubblicato il 10 gennaio sul sito di Sbilanciamoci!. Una verità tornata agli onori della cronaca in piena pandemia, per raccontare quell’apartheid vaccinale (secondo la felice definizione di Nicoletta Dentico sempre sulle pagine web della Campagna) che si è stabilita tra Paesi ad alto tasso di vaccinazioni (pensiamo all’Italia con il suo 90% di vaccinati) e Paesi con scarso accesso al siero (in Africa il 7% della popolazione ha ricevuto appena una dose Pfizer o Moderna).

Persino il programma internazionale per l'accesso equo ai vaccini Covax ha fallito nel suo intento e solo il 10% delle dosi promesse è giunto ai Paesi poveri.

«La risposta all’emergenza pandemica – commenta Marcon – ha riportato alla memoria quello che alcuni avevano rimosso: l’esistenza di un enorme divario tra Nord e Sud del mondo e la predominanza del business economico (quello dei vaccini che si è indirizzato a chi poteva pagare, ai Paesi ricchi) rispetto alle priorità umanitarie e sanitarie: perché senza la vaccinazione della popolazione dei Paesi poveri questa pandemia non avrà comunque fine».

Il tema caldo, sottolinea l’autore, è quello della promessa disattesa di destinare lo 0.7% del Pil alla Cooperazione internazionale allo sviluppo. Nel corso degli ultimi governi, «non è successo e non c’è stata nemmeno alcuna modesta progressione. Nella scorsa legislatura il Parlamento ha approvato una legge di riforma delle vecchie norme della cooperazione, introducendo un’agenzia ad hoc (Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo) e migliorando leggermente il funzionamento della gestione dei fondi. Che sono rimasti sempre quelli. In più, quella legge ha tolto di mezzo il ruolo del volontariato e ha enfaticamente promosso il ruolo delle imprese». In buona sostanza, si è usata la Cooperazione internazionale per promuovere le aziende italiane sui mercati esteri, ribadisce Marcon, e non per sostenere processi di sviluppo nei Paesi poveri. «La vicenda dei vaccini è paradigmatica di un modo di fare cooperazione che non è cambiato nel corso degli anni: il business è più forte delle priorità umanitarie e gli interessi delle corporation – in questo caso quelle farmaceutiche e dei brevetti – più rilevanti di quelli di tutti noi».

«Possiamo fare anche un’altra legge sulla cooperazione – conclude Marcon – ma senza cambiare le dinamiche delle economie e della finanza mondiale, le regole del commercio e dei brevetti, poco possiamo aspettarci di buono nei prossimi anni».

 

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