
La politica e la transizione green: arrivare impreparati all'appuntamento con il futuro?
Lo scarto tra le prospettive delle Nazioni Unite, che puntano all’edificazione di un mondo diverso nell’ottica della sostenibilità, e le scelte concrete locali, che invece frenano e tendono alla conservazione nostalgica e del tutto illusoria del presente, in un editoriale dell’ASviS (Alleanza italiana per lo Sviluppo Sostenibile), a firma di Donato Speroni, pubblicato il 7 aprile, con il titolo: “Le proposte che guardano al futuro e quelle per cristallizzare il presente”.
È il caso, per esempio, della decisione europea sul phase-out dei motori a combustione interna e della battaglia «di retroguardia» italiana: «Invece di attardarsi per strappare una dilazione di qualche anno in un processo che sarà comunque inevitabile (si pensi anche agli effetti dei carburanti sull’inquinamento delle città, oltre cinquantamila morti premature all’anno nella solo in Italia), sarebbe più importante concentrare gli sforzi per accelerare e rendere più giusta la transizione energetica». Certo, avverte l’autore, c’è da rimboccarsi le maniche in vista del 2035: per esempio accelerando sull’istallazione delle colonnine di alimentazione, aumentando l’apporto di energia da rinnovabili, incentivando l’uso dell’auto elettrica, finanziando ricerca e sviluppo su materiali e smaltimento delle batterie, riconvertendo l’industria italiana verso nuove produzioni per non dipendere dalla Cina e per non perdere forza lavoro. Importante, su tutto, è la politica, con le sue scelte e la sua lungimiranza: «Il direttore scientifico dell’ASviS Enrico Giovannini invita il governo, in occasione dell’importante e imminente tornata di nomine in scadenze nelle imprese di Stato, a dare ai nuovi vertici delle “linee di indirizzo” che rendano espliciti gli orientamenti politici di contesto per la loro azione».
«Molto insomma dipende dagli occhiali che si vogliono indossare», ribadisce l’autore dell’editoriale. «Se l’obiettivo è solo quello di difendere l’esistente, il risultato sarà di arrivare impreparati agli inevitabili appuntamenti col futuro. Se invece si partirà da una visione realistica di quello che sarà il mondo tra dieci o quindici anni, se ne faranno derivare scelte importanti per preparare il Paese alle nuove sfide».
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