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«Non hanno nulla da perdere». L’appello di un vescovo del Camerun sulla crisi dei migranti

«Non hanno nulla da perdere». L’appello di un vescovo del Camerun sulla crisi dei migranti

In un comunicato stampa di ieri, la fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre-Italia (ACS) entra nel vivo del dibattito sulle migrazioni di massa provenienti dall’Africa, rilanciando l’appello del camerunese mons. Bruno Ateba (vescovo di Maroua-Mokolo), il quale chiede all’Europa di impegnarsi di più sullo sviluppo dell’occupazione nei Paesi di partenza.

In occasione di una visita alla sede di ACS, mons. Ateba ha spiegato che i giovani africani tentano «non hanno paura di nulla, perché non hanno nulla da perdere, quindi, anche se devono attraversare prima il deserto del Sahara e poi il Mediterraneo, non esitano», mettendo a rischio anche la loro stessa vita.

La «spinta ad emigrare» nasce dall’assenza di prospettiva e di possibilità, ha detto ancora il prelato africano. In Camerun, ha poi motivato, «dopo 50 anni di indipendenza non esiste ancora alcuna industria, né alcun modello economico. Molti si sentono obbligati ad andarsene per mancanza di opportunità. Se vogliamo cambiare questa situazione, dobbiamo trovare una soluzione sostenibile per fermare l’esodo dei nostri giovani. (…) Se l’Europa collaborasse alla creazione di posti di lavoro nei nostri Paesi, non avremmo i problemi che stiamo affrontando attualmente a livello globale», ha dichiarato, e verrebbe meno la ragione stessa del desiderio di emigrare.

Con seri progetti di sviluppo e di occupazione si risolverebbe per l’Europa parte del problema delle migrazioni in entrata, ma sarebbe anche una grande occasione per l’Africa di non perdere un grande potenziale, perché la sua popolazione è composta per lo più di giovani attivi: «Ma solo se possiamo dare loro gli strumenti e le opportunità necessarie per prosperare».

Forte di questa convinzione, nella pastorale diocesana, il vescovo ha già avviato progetti per creare opportunità di formazione professionale e di occupazione, in un territorio peraltro vessato dal terrorismo jihadista. Come, ha citato ad esempio, «un centro di attività per giovani finanziato da ACS nel campo profughi di Minawao, nella parrocchia di Zamay, che accoglie 80.000 rifugiati provenienti dalla vicina Nigeria e fuggiti da Boko Haram. Grazie a questo progetto, queste persone ricevono attenzione pastorale e allo stesso tempo acquisiscono competenze, come riparare scarpe o computer, o cucire, le quali permettono loro di trovare lavoro per guadagnarsi da vivere. L’impegno della Chiesa verso queste persone è un faro di speranza in mezzo a grandi avversità».

Ma questo non può bastare, ha poi aggiunto il vescovo appellandosi alla comunità internazionale: «La Chiesa e organizzazioni come Aiuto alla Chiesa che Soffre continuano a svolgere un ruolo cruciale nel sostenere e aiutare coloro che sono direttamente colpiti dalla insicurezza del territorio, dall'instabilità e dalla povertà, ma la cooperazione dei governi e della comunità internazionale è essenziale per affrontare queste sfide e trovare soluzioni di lungo termine».

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