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Questo Natale a Betlemme

Questo Natale a Betlemme

Newsletter n. 141 del 12 dicembre 2023

Cari amici,

con immenso dolore vi annunciamo che nessun bambino nascerà quest’anno a Betlemme per Natale. Intanto nessuna famiglia non censita o araba può spostarsi da Nazaret a Betlemme, perché tra questa città e Gerusalemme c’è un muro alto otto metri che non si può varcare senza un’attesa di ore attraversando check point presidiati da coloni agguerriti e dall’esercito. A Betlemme poi, in mancanza di albergo, non si può andare a partorire in una grotta, perché c’è il rischio che essa sia allagata da pompe capaci di trasportare migliaia di metri cubi d’acqua dal mare, come si minaccia di fare nei tunnel di Gaza per uccidere quanti vi sono riparati, liberi o ostaggi che siano. È anche un tempo non adatto per partorire, perché non si sa che futuro potrebbero avere i bambini messi alla luce, già ai primi vagiti, perché potrebbero d’improvviso spegnersi le incubatrici o dopo, perché potrebbero finire in mezzo a una strage degli innocenti, come succede a Gaza dove secondo l’organizzazione internazionale “Save the children” sono stati tolti alla vita già più di 3.257 bambini, un numero superiore a quello dei bambini uccisi in conflitti armati a livello globale  in più di 20 Paesi nel corso di un intero anno; e questo rischio correrebbero anche in Israele, dove ne sono periti 29, e in Cisgiordania dove di bambini ne sono morti 33.  Né si può cercare di portarli in salvo fuggendo in Egitto, perché non si può passare al valico di Rafah e l’Egitto non li vuole. E anche per gli altri bambini non si sa che futuro avranno se gli adulti maschi si uccidono a vicenda in guerre insensate, che è il primo e vero crimine del patriarcato.

In questa situazione tutte le Chiese cristiane di Gerusalemme hanno deciso che quest’anno non si celebrerà il Natale a Betlemme, sono cancellate le liturgie, fermati i pellegrinaggi, perché non ce ne sono le condizioni, c’è poco da celebrare.

Eppure i bambini “sono sacri” ha scritto Liliana Segre in una lettera alla comunità ebraica romana riunitasi a piazza del Popolo per reagire a un antisemitismo di ritorno che va di pari passo con il perdurare del genocidio di Gaza. Ha scritto la senatrice Segre: «L'eterno ritorno della guerra mi fa sentire prigioniera di una trappola mentale senza uscita, spettatrice impotente, in pena per Israele ma anche per tutti i palestinesi innocenti, entrambi intrappolati nella catena delle violenze e dei rancori. E non ho soluzioni. E non ho più parole.  Ho solo pensieri tristi. Provo angoscia per gli ostaggi e per le loro famiglie.  Provo pietà per tutti i bambini, che sono sacri senza distinzione di nazionalità o di fede, che soffrono e muoiono. Che pagano perché altri non hanno saputo trovare le vie della pace».

In effetti a pagare sono tutti, dentro e fuori la Palestina, Gaza e Israele. Anche i coloni, che se per mettersi fuori della guerra volessero andare in America non potrebbero farlo perché gli Stati Uniti hanno deciso di non dare loro i visti per quello che stanno facendo ai palestinesi insieme con l’esercito.

Il ritorno dell’antisemitismo si può sconfiggere se risulta ben chiaro che l’“inferno” (per dirla con l’ONU) che ha preso possesso dei palestinesi e di Gaza (con il rischio di espandersi in modo incontrollato nell’area mediterranea e nel mondo) non è imputabile né al popolo ebraico come tale, né alla fede di Israele, né al messianismo del ritorno alla terra. Perché, anche a una lettura fondamentalista delle Scritture, un simile esito non è compatibile con la Torah e con i Profeti. Se per la propria sicurezza futura il prezzo fosse lo sterminio degli altri sulla terra, nessun Dio potrebbe invocarsi nei cieli. Responsabile invece è solo lo Stato come istituzione, moloch o leviatano che sia, come il mostro preso ad esempio dalla Bibbia.  Si rivela così la forza profetica del giudizio che Primo Levi nel 1984 esprimeva in una intervista a Gad Lerner (oggi ripubblicata dal Fatto) in cui si diceva convinto che «il ruolo d’Israele come centro unificatore dell’ebraismo» dovesse rovesciarsi, tornare fuori d’Israele, «tornare fra noi Ebrei della Diaspora che abbiamo il compito di ricordare ai nostri amici israeliani che essere ebrei vuol dire un’altra cosa. Custodire gelosamente il filone ebraico della tolleranza». Se i mostri si sfidano fino a minacciare Beirut e il Libano meridionale di fare la fine di Gaza e di Khan Yunis, nessuno può essere complice e confondersi con essi. 

È questo il cambiamento profondo che si richiede allo Stato d’Israele e al suo rapporto con gli altri Ebrei e con i popoli, e anche alla nostra concezione belluina dello Stato, se si vuole che l’antisemitismo sia cancellato in radice, e che il mondo possa trovare la pace.

Con i più cordiali saluti,

Costituente Terra (Raniero La Valle)

P.S. Pubblichiamo nel sito due articoli di Antonio Mazzeo, uno sulla partecipazione italiana alle guerre di Ucraina e di Gaza, e l’altro sulla futura “utilità” del ponte sullo Stretto di Messina.

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