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Noi Siamo Chiesa: "Fiducia Supplicans" è «un primo passo ancora insoiddisfacente nel segno della tradizione»

ROMA-ADISTA. «Un primo passo ancora insoiddisfacente nel segno della tradizione». È il giudizio del movimento Noi Siamo Chiesa sulla dichiarazione  “Fiducia Supplicans” nella quale il Dicastero per la dottrina della fede (Ddf), «tra mille cautele, distinguo, qualche contraddizione e rinnovate chiusure, apre uno spiraglio al riconoscimento delle unioni di fatto di donne e uomini legati da un’esperienza omoaffettiva».

Il documento approvato dal papa, si legge nella nota di Noi Siamo Chiesa, «afferma la possibilità, sinora esclusa, di una benedizione delle coppie ancora burocraticamente definite “irregolari”: conviventi, persone divorziate risposate civilmente e dello stesso sesso. È un primo segnale di cambiamento, limitato dalla distinzione tra “benedizione delle coppie” (oggi ammessa) e “benedizione della loro unione” (tuttora negata) nonché tra “benedizione liturgica” e “benedizione pastorale”,  con cui si vuole non approvare queste relazioni, ma solo riconoscervi la presenza di elementi di bene.   Infatti queste benedizioni devono essere brevi (“10 o 15 secondi”),  non possono avvenire nel contesto di matrimoni civili né all’altare, non prevedono abiti liturgici,  gesti o parole tipiche del rito delle nozze cristiane né aspetti festosi come vestiti nuziali o un banchetto, ecc.   In sostanza si benedicono le persone – addirittura, secondo l’esempio contenuto nel comunicato stampa con cui il Ddf è intervenuto il 4 gennaio per “aiutare a chiarire la ricezione di Fiducia Supplicans”, in quanto bisognose e sofferenti – ma non la loro relazione affettiva.

Ciò perché questa novità, pur significativa, si colloca nell’ambito della consueta dottrina della Chiesa cattolica, che concepisce la diversità sessuale non come una variante della natura umana, ma come una sua patologia oggettivamente peccaminosa, definita “deviazione dell’identità di genere” (Lettera ai vescovi della Chiesa Cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali del 1 ottobre 1986), e intende gli atti omosessuali come “intrinsecamente malvagi”.   Riteniamo che questa concezione ignori le più recenti acquisizioni della scienza e debba lasciare il posto ad una sessualità vissuta liberamente da ogni uomo e donna con senso di responsabilità. In quest’ottica la rivendicazione di una liturgia che riconosca la dimensione ecclesiale dell’unione affettiva tra credenti dello stesso sesso risponde non solo a una esigenza di parità con le coppie eterosessuali, ma soprattutto di riconoscimento che anche queste relazioni sono”sacramento”, poiché attraverso l’amore ricevuto e donato reciprocamente queste persone conoscono l’amore ricevuto da e donato a Dio.

Il divieto di un rito specifico suona ancora più paradossale nel momento in cui il Benedizionale ne prevede di appositi per la benedizione di case, automobili, bestiame, ecc. e rischia di produrre un effetto di censura nei confronti di quelle conferenze episcopali, prima di tutto quella belga, che hanno introdotto una benedizione formale, rituale e standardizzata dei partner dello stesso sesso.  Per tali unioni appare invece questa la strada da percorrere, elaborando una liturgia specifica, che ne sancisca l’impegno nei confronti di Dio e della comunità cristiana, al tempo stesso chiamando l’Uno e l’altra a sostenere la coppia nella relazione d’amore, mentre per le persone divorziate e risposate civilmente già da tempo si richiede la possibilità di celebrare seconde nozze con rito religioso, quanto meno secondo la prassi ortodossa.

Il comunicato stampa del 4 gennaio, inoltre, accogliendo le riserve espresse soprattutto dagli episcopati africani, dedica ampio spazio all’affermazione che l’applicazione di “Fiducia Supplicans” possa essere diversificata nelle forme e nei tempi a seconda dei contesti sociali e culturali (e perfino di legislazione civile), sulla base del discernimento dei vescovi locali e di ragioni di opportunità.  Lascia così intravedere la possibilità di avere, pur nella comunione ecclesiale, pratiche differenziate,che potrebbe valere anche in altri ambiti,  per esempio nell’autorizzare l’accesso delle donne ai ministeri ordinati in alcune regioni o paesi senza che questo debba automaticamente valere ovunque.   Al contempo invita gli episcopati dei paesi in cui le persone omosessuali sono perseguitate anche per legge ad adoperarsi per la difesa della loro dignità e il superamento della loro criminalizzazione.

Tentando di allargare gli spazi pastorali senza toccare la dottrina tradizionale, per la prima volta un documento ufficiale del Magistero propone un approccio diverso a una realtà ancora chiusa tra pregiudizi, omissioni, intolleranze e condanne più o meno esplicite, nel nome di una misericordia che si rifà all’accoglienza di Gesù che si identificava in ogni essere umano.

É un primo passo, ancora insoddisfacente, che rappresenta comunque una crepa nel muro di intolleranza che la Chiesa ha costruito nei secoli nei confronti di queste sorelle  e fratelli. E un segnale, ambiguo, ma concreto, che le riforme sono possibili».

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