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Libia, «fabbrica della tortura»: la sentenza della Cassazione e le politiche migratorie

Libia, «fabbrica della tortura»: la sentenza della Cassazione e le politiche migratorie

«La Libia è “porto non sicuro” e facilitare la riconsegna dei migranti alle autorità di Tripoli è un crimine»: così il giornalista esperto di migrazioni Nello Scavo, su Avvenire del 16 febbraio, salutava l’esito della sentenza della Corte di Cassazione, che confermava «la condanna per il comandante di un rimorchiatore italiano che aveva soccorso 101 migranti e li aveva poi affidati a una motovedetta libica». Una sentenza dal contenuto e dagli esiti davvero pesanti, perché «indica la strada alla giurisprudenza, a cui dovranno conformarsi tutti i tribunali italiani». Sul fatto, di portata storica, citiamo Avvenire proprio perché è stata una sua inchiesta giornalistica a raccogliere le testimonianze dei naviganti e le registrazioni radio della nave “Open Arms” al fine di ricostruire la vicenda specifica e portare alla luce la prassi di collaborazione dei soccorritori con la cosiddetta Guardia costiera libica, «su cui la Cassazione ha posto una parola definitiva».

Che la Libia fosse un porto “non sicuro” le organizzazioni non governative e in generale la società civile che si batte per i diritti dei migranti lo ripete da anni. Tra queste anche MEDU (Medici per i Diritti Umani), che riconosce la «straordinaria rilevanza» della sentenza: «Finalmente anche la Corte suprema riconosce ciò che tutte le organizzazioni di tutela dei diritti umani denunciano da anni, ovvero che consegnare i migranti soccorsi nel Canale di Sicilia alla Libia equivale a una condanna».

Sono 9 anni che MEDU denuncia «i gravissimi abusi commessi su migranti e rifugiati in Libia». E precisamente dalla pubblicazione del rapporto Fuggire o Morire, realizzato nel 2015 grazie alle decine di testimonianze di persone sopravvissute ai lager libici. «La Libia era ed è tuttora la “fabbrica della tortura” dove vengono commessi in modo sistematico crimini contro l’umanità nei confronti di migranti e rifugiati». La fabbrica della tortura è anche il titolo del più recente “Rapporto sulle gravi violazioni dei diritti umani dei migranti e dei rifugiati in Libia (2014-2020)”.

«Auspichiamo che questa nuova sentenza, che farà giurisprudenza, obblighi il governo italiano a rivedere in modo radicale gli accordi con il Paese nordafricano in materia di migrazione», conclude l’organizzazione confidando in una pronta chiusura del Memorandum Italia-Libia. «Auspichiamo altresì che quanto deciso dalla Corte di Cassazione stimoli una nuova riflessione pubblica volta a riportare il rispetto dei diritti umani fondamentali al centro delle politiche migratorie dell’Italia e dell’Unione europea».

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