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La crisi sociale, economica e climatica incombe. Ma l'Europa punta tutto sul riarmo

La crisi sociale, economica e climatica incombe. Ma l'Europa punta tutto sul riarmo

È online, con accesso come sempre libero e gratuito, il numero di maggio di IRIAD Review, la rivista mensile di approfondimento dell’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo, che si occupa di “Studi sulla pace e sui conflitti”.

In questa edizione del periodico si parla, tra l’altro, di: “Spese militari record nel 2023” (di Maurizio Simoncelli, vicepresidente IRIAD e direttore della testata); “Cluster bomb: il ritorno” (di Matteo Taucci); “Il riarmo giapponese” (di Simone Censi); “L’accertamento giudiziale del genocidio: il caso Bosnia vs Serbia” (di Alice Stillone); “Leghe, bandiere e ragazzacci” (di Erasmo Rossi).

Numeri alla mano, nel suo “focus” Maurizio Simoncelli denuncia un clima internazionale che «vede aumentare le tensioni e le minacce tra gli Stati, mentre le relazioni diplomatiche sembrano lasciare il posto a crescenti confronti muscolari, fondati su arsenali convenzionali e nucleari». Anche nel Vecchio Continente, nato intorno a un progetto di sviluppo fondato sulla pace duratura tra i popoli, aumentano le dichiarazioni politiche che puntano sul riarmo e sul rilancio della leva obbligatoria. Cresce in Europa anche una pressante e massiccia «campagna mediatica» che semina paura e contrapposizione, volta ad «orientare l’opinione pubblica, che nelle democrazie ha comunque un ruolo importante» e non mancano voci insistenti che premono per l’invio di truppe a fronteggiare il “nemico della civiltà occidentale” in territorio ucraino.

Nello stesso tempo si apre una seria riflessione sullo stato dell’arte delle forze armate europee, considerate impreparate e sguarnite nonostante l’impegno spropositato e crescente in spesa militare. «L’Unione Europea, che dopo molto parlare non è in grado di avere una sua politica estera e della difesa con relative proprie forze armate – punta il dito Simoncelli – è capace solo di destinare ingenti somme alle industrie belliche, che, tra l’altro, si collocano per lo più in Germania, Francia e Italia, non riuscendo a costituire un esercito comune europeo data la gelosa conservazione delle prerogative nazionali in materia di politica estera e di conseguenza di difesa». Insomma, sembra affermare l’autore dell’articolo, il clima di tensione e contrapposizione giustifica e rilancia la spesa militare in assenza di un progetto politico comune, e mette a tacere l’opinione pubblica, a tutto vantaggio dell’industria bellica, che intanto tra ingenti profitti in un periodo di crisi internazionale che invece si abbatte su altri settori di spesa pubblica. Simoncelli cita il rapporto del Watson Institute for International and Public Affairs della Brown University nel quale si rileva che «1 milione di dollari di spesa legata alla guerra sostiene meno posti di lavoro rispetto alla stessa cifra spesa per energia pulita, sanità, istruzione o infrastrutture. Includendo sia i posti di lavoro diretti che quelli indiretti, l’esercito crea 6,9 posti di lavoro per 1 milione di dollari, mentre l’industria dell’energia pulita e le infrastrutture supportano ciascuna 9,8 posti di lavoro, l’assistenza sanitaria 14,3 e l’istruzione 15,2. Quindi, a parità di spesa, l’energia pulita e le infrastrutture creano il 40% in più di posti di lavoro rispetto al settore militare, l’assistenza sanitaria il 100% in più e l’istruzione il 120% in più».

L’Europa delle lobby, dunque, «rinuncia alla ricerca di una sicurezza condivisa» e all’«azione diplomatica autorevole» nei principali conflitti in corso (Ucraina e Gaza), puntando tutto su una folle «corsa al riarmo per la “difesa dell’Occidente”» che, tra l’altro, fa scomparire «dagli orizzonti la questione veramente minacciosa dei cambiamenti climatici e della relativa transizione, che è la vera sfida planetaria per tutti i Paesi, nessuno escluso».

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