
Il governo del Nicaragua esilia il terzo vescovo: aveva criticato il sindaco sandinista di Managua
Il governo del Nicaragua ha esiliato a Città del Guatemala il vescovo di Jinoteca, mons. Carlos Enrique Herrera, presidente della Conferenza episcopale. Usciva da una riunione tenuta in questa sede quando è stato arrestato, condotto all’aeroporto di Managua e imbarcato su un aereo per il Paese vicino. La sua colpa, avere espresso, il 10 novembre, durante la Messa serale nella cattedrale San Juan Bautista, il suo malcontento per i continui eventi rumorosi organizzati dal comune che interrompono le celebrazioni liturgiche. Le sue parole al momento del rito penitenziale liturgia sono state: «Chiediamo perdono al Signore per le nostre colpe e anche per quelle che non rispettano il culto, sì, chiedendoglielo perché questo è un sacrilegio che stanno commettendo il sindaco e tutte le autorità comunali, e andiamo a dirglielo perché conoscono il momento della messa».
Il vescovo bacchettava il sindaco della città, Leonidas Centeno, uno dei cosiddetti “supersindaci” del regime di Daniel Ortega e Rosario Murillo, cioè uno dei consiglieri con maggiore influenza all’interno dell’apparato sandinista. Negli ultimi tempi aveva più volte organizzato attività in concomitanza con le celebrazioni cattoliche, provocando il disappunto del vescovo.
Tra le ultime misure per limitare il suo ministero, il divieto per i sacerdoti di recarsi negli ospedali per amministrare il sacramento dell’unzione degli infermi. Qualche giorno prima, il 6 novembre, è stata disattivata la pagina Facebook ufficiale della diocesi di Jinotega. Il social network veniva utilizzato per trasmettere in diretta le messe domenicali e altri eventi religiosi.
Fino a ieri, né la Conferenza Episcopale del Nicaragua, né il Vaticano hanno rilasciato commenti sull'esilio di Herrera. A Città del Guatemala, il vescovo è stato ricevuto presso la Casa Provinciale dei frati francescani, ordine religioso al quale appartiene.
Prima di Herrera sono stati esiliati il vescovo di Matagalpa, mons. Rolando Álvarez – processato, condannato a 26 anni di carcere è stato poi liberato – e mons. Isidoro Mora, capo della diocesi di Siuna. Già Silvio Báez, vescovo ausiliare di Managua, aveva dovuto lasciare il Nicaragua per avere ricevuto minacce di morte. «C’è un piano per assassinarmi», aveva affermato e papa Francesco lo aveva chiamato a Roma. Sono atti persecutori contro la Chiesa cattolica e altre comunità cristiane che vanno avanti dal 2018 e comprendono minacce, attacchi fisici e verbali, criminalizzazione, denazionalizzazione, restrizioni all’esercizio della fede e delle tradizioni religiose, campagne diffamatorie, detenzioni arbitrarie, sorveglianza e profanazione dei templi. Tutto riconosciuto e descritto nel rapporto del luglio scorso del Gruppo di esperti dell’Onu sui diritti umani in Nicaragua, secondo il quale il governo di Ortega e Murillo vede una minaccia nella capacità di mobilitazione sociale autonoma delle istituzioni religiose.
Tra aprile 2018 e marzo 2024, il Gruppo di esperti Onu ha documentato 73 casi di detenzioni arbitrarie – «tortura e trattamenti degradanti» –contro membri della Chiesa cattolica e di altre denominazioni cristiane. «In 19 casi – riassume El País (14/11) – sono stati accusati di riciclaggio di denaro e in 13 casi sono stati accusati di cospirazione per indebolire l'integrità nazionale e diffusione di notizie false. Alla chiusura del rapporto, 36 delle 73 persone incarcerate hanno condanne per i presunti crimini. Va notato che le persone detenute sono state private del diritto ad un giusto processo e ad un giusto processo. Tra questi condannati figurano 11 religiosi e 10 laici cattolici, oltre a 2 pastori e 13 membri della Chiesa evangelica».
*Foto ritagliata di Cubadetate tratta da Flickr
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