
Aprire nuove strade per la solidarietà islamo-ebraica: un dialogo su giustizia, resistenza e nonviolenza
APRIRE NUOVE STRADE PER LA SOLIDARIETÀ ISLAMO-EBRAICA:
UN DIALOGO SU GIUSTIZIA, RESISTENZA E NONVIOLENZA
di Adnane Mokrani & Russell G. Pearce1
Introduzione
Musulmani ed ebrei non sono, e non dovrebbero essere, nemici. Al contrario, possono essere amici solidali, e alcuni già lo sono oggi e nel corso della storia. Questa amicizia affonda le radici nei valori spirituali che uniscono queste due religioni abramitiche. Un’amicizia che non esclude altre fedi né si oppone a nessun altro gruppo. Un’amicizia di cui il mondo ha disperatamente bisogno.
Tuttavia, spesso ebrei e musulmani percepiscono la religione altrui attraverso la lente del conflitto, senza riconoscere come entrambe le religioni condividano un impegno nel valorizzare la sacralità di ogni vita umana e nel garantire che ogni essere umano sia trattato con giustizia. Attraverso il nostro progetto, ci auguriamo di promuovere il dialogo sia tra ebrei e musulmani sia all’interno di ciascuna comunità, riguardo ai valori religiosi condivisi e agli impegni comuni verso la pari dignità e i diritti di ogni persona. Ciononostante, riconosciamo che in ciascuna religione esistono, nei nostri patrimoni e nelle nostre tradizioni, elementi di violenza, così come dibattiti sull’applicazione di questi principi a coloro che sono estranei alla nostra religione. In questa presentazione, delineeremo i principi fondamentali che riteniamo persuasivi e proporremo interpretazioni che purifichino e trasformino il nostro modo di pensare e agire.
I. Dignità e diritti umani
I principi di uguale dignità umana, amore per il prossimo e giustizia sono centrali sia nell’Islam che nell’Ebraismo. Crediamo nel valore dell’Esodo, come narrazione che unisce le nostre due religioni, menzionata sia nella Bibbia che nel Corano, rappresentando una fonte di ispirazione nella nostra comune lotta contro l’oppressione e la schiavitù, per la giustizia e la pace, per una libertà che accoglie tutti senza discriminazioni. Crediamo in un Dio che si schiera in solidarietà con i poveri, gli oppressi, le vittime dell’ingiustizia, un Dio liberatore che sta al fianco dei deboli contro il potere schiacciante dei faraoni odierni.
Il fondamento dell’Ebraismo è che ogni essere umano, ebreo o no, è creato a immagine di Dio. Nel periodo rabbinico iniziale, Rabbi Akiva e Rabbi Simeon Ben Azzai dibatterono sull’insegnamento più importante dell’Ebraismo. Akiva sosteneva il principio “ama il prossimo tuo come te stesso”. Ben Azzai rispose che l’insegnamento più importante è che tutti sono creati a immagine di Dio.2 I commentatori spiegano che il punto di Ben Azzai è necessario per comprendere correttamente il comandamento di amare il prossimo: anche se uno non ama sé stesso, deve amare gli altri essendo creati a immagine di Dio.3 Un insegnamento correlato è che tutte le persone discendono da Adamo, così che nessuno possa affermare che “mio padre è più grande del tuo”.4 Allo stesso modo, la Torah richiede un trattamento uguale per ebrei e non-ebrei: “Lo straniero che risiede tra voi sarà per voi come il vostro concittadino; lo amerete come voi stessi, perché anche voi foste stranieri in terra d’Egitto: Io sono יהו ה il vostro Dio”.5
Un altro principio centrale dell’Ebraismo è la giustizia. Il profeta Amos insegnò: “Scorra invece il diritto come acqua e la giustizia come un torrente perenne”.6 La Torah comanda: “Giustizia, giustizia perseguirai”.7 I commentatori hanno esplorato perché l’insegnamento ripeta due volte la parola “giustizia”. Alcuni spiegano che la ripetizione sottolinea l’importanza della giustizia per Dio. Altri concordano che la vera giustizia è giustizia uguale. Rabbi Bakhya ben Asher, nel XII secolo, insegnò che “la doppia enfasi significa giustizia in ogni circostanza, sia a tuo vantaggio che a tuo svantaggio, sia a parole che nelle azioni, sia verso un ebreo che verso un non-ebreo”.8 Rabbi Bradley Shavit Artson osserva: «Nel Midrash Devarim Rabbah, spiegano che Dio ama la giustizia più del sacrificio. Questo conferma ciò che dice la Scrittura: “Agire con giustizia e rettitudine è gradito al Signore più del sacrificio.” La Scrittura non dice “quanto il sacrificio”, ma “più del sacrificio”. Il Midrash prosegue spiegando in molti modi come la giustizia sia superiore al sacrificio agli occhi di Dio».9
Infatti, la ricerca della giustizia è un obbligo di ogni individuo, non solo dei giudici. Come nota il rabbino Jonathan Kliger, “Rabbi Hiyya, un sapiente del IV secolo, [spiegò]: ‘Se una persona non è né un erudito, né un maestro, né nota per osservare tutti i comandamenti rituali, ma si alza per protestare contro il male, tale persona è considerata una benedizione’”.10
L’Islam conferma la tradizione biblica sull’origine dell’umanità, che ci rende tutti una sola famiglia umana, fratelli e sorelle, e che Dio ha creato gli esseri umani a Sua immagine.11 La dignità umana è un valore assoluto nel Corano: “In verità, abbiamo onorato i figli di Adamo”,12 tutti i figli di Adamo, senza distinzione di nazione, cultura, religione o genere. I figli di Adamo comprendono tutta l’umanità e ogni persona. Questo onore non è altro che la dignità umana, che è sacra come il suo Donatore, come la vita stessa, e ciò che Dio concede, nessuno può togliere. Dio ha onorato l’essere umano creandolo con le Sue mani,13 soffiando in lui il Suo Spirito, insegnandogli i nomi di tutte le cose, nominandolo Suo vicario (khalīfa) sulla terra.14
Dio è Giustizia assoluta; davanti a Lui siamo tutti uguali, ed Egli ci chiama a essere giusti come Lui e a sostenere la giustizia: “Dio stesso è testimone che non c’è altro dio che Lui, e anche gli angeli, e anche i signori della scienza testimoniano che non c’è altro dio che Lui, Colui che sussiste nella giustizia, il Potente, il Saggio”.15 La giustizia condanna ogni forma di discriminazione: «Voi che credete, agite con ferma giustizia quando testimoniate davanti a Dio, anche se è contro voi stessi o contro i vostri genitori e contro i vostri parenti, siano essi poveri o ricchi, agli uni e agli altri Dio è più vicino di voi; dunque, non seguite le passioni che vi fanno errare dalla rettitudine. Se storpierete la testimonianza o rifiuterete di darla, sappiate che Dio sa bene quel che fate.16 Voi che credete, siate retti davanti a Dio quali testimoni di equità, e l’odio che nutrite contro un certo popolo non vi induca a essere ingiusti; invece, agite con giustizia – è la cosa più prossima alla pietà – e abbiate timore di Dio, Dio è ben informato di quel che fate».17
II. Pace e nonviolenza
Allo stesso modo, sia l’Islam che l’Ebraismo cercano la pace e considerano la violenza come ultima risorsa. Alcuni pensatori musulmani ed ebrei sono andati oltre, sostenendo una resistenza nonviolenta simile agli approcci più noti di Mahatma Gandhi, Khan Abdul Ghaffar Khan e Martin Luther King Jr. Come parte della più ampia Interreligious Initiative for Nonviolence Theology (IINT), inizieremo a sviluppare approcci condivisi.
La ricerca della pace è, senza dubbio, centrale sia nell’Islam che l’Ebraismo. L’ebraico Shalōm e l’arabo Salām non possono essere tradotti semplicemente con una pace superficiale. Indicano invece una Pace permanente e profonda, divina e inclusiva. Al-Salām, la Pace, è uno dei bei Nomi divini nel Corano,18 che dovrebbe riflettersi nella vita dei credenti: “Voi che credete, entrate tutti nella pace e non seguite le orme di Satana che è un vostro chiaro nemico”.19 Il messaggio divino trasmesso dai Profeti nel corso della storia è un invito alle “vie della Pace”,20 fino a dimorare nella Pace, in questo mondo e nell’altro.21
Nell’Ebraismo, la pace è un principio centrale. La Mishina spiega che il mondo si regge sulla pace, insieme alla giustizia e alla verità.22 L’eminente studioso Maimonide insegnò: “Grande è la pace, poiché l’intera Torah è stata data per promuovere la pace nel mondo, come è detto: ‘Le sue vie sono vie deliziose e tutti i suoi sentieri sono pace’”.23
L’impegno per la nonviolenza deriva sia dalla sacralità della vita umana sia dalla ricerca della pace. Sia l’Islam che l’Ebraismo condividono un insegnamento simile. L’Ebraismo insegna: “Chi distrugge una sola vita, è come se avesse distrutto il mondo intero. E chi salva una sola vita, è come se avesse salvato il mondo intero.”24 Lo stesso principio si trova letteralmente nel Corano.25 La nonviolenza non significa cedere all’ingiustizia e ad altri mali, ma resistere per promuovere giustizia e libertà. Erica Chenoweth e Maria J. Stephan, infatti, hanno documentato come nel secolo scorso la resistenza nonviolenta sia stata più efficace della resistenza violenta anche nell’opporsi all’oppressione autoritaria, in parte perché la violenza richiede un seguito significativamente più ampio per avere successo.26 Inoltre, come hanno riconosciuto i commentatori, la violenza spesso crea un ciclo di violenza, non la pace.27
III. Affrontare le stesse sfide
La creazione dello Stato di Israele e il conseguente esilio e oppressione dei palestinesi hanno generato ferite profonde nella memoria collettiva di entrambe le comunità, creando spesso narrazioni parallele, se non opposte. La pulizia etnica ha costretto parte del popolo palestinese all’esilio. Molti ebrei arabi sono stati costretti a lasciare i loro paesi per vivere in Israele o altrove.
Nonostante la religione abbia svolto un ruolo importante per molti attori in questo conflitto, vogliamo affermare insieme che questo non è necessariamente un conflitto religioso. In verità, è un problema di occupazione e di un ciclo infinito di violenza. Nonostante la terra sia chiamata “santa”, mai nessuna terra sarà più sacra degli esseri umani che vi camminano sopra, e che devono difendere e proteggere i loro diritti. Gerusalemme è una città di alto valore simbolico per le tre religioni abramitiche, ma l’occupazione rende difficile una collaborazione equa.
Comprendiamo che esistono gruppi nazionalisti e religiosi, movimenti e ideologie che usano la religione per giustificare l’occupazione o la resistenza. Noi, invece, vogliamo essere ispirati dalle nostre fedi per lavorare per la giustizia, la pace e la riconciliazione. Le nostre religioni condividono principi e valori fondamentali che credono nella dignità umana e servono tutta l’umanità senza discriminazioni e senza pretese di supremazia.
Siamo contro ogni tipo di messianismo guerriero, sia ebraico, cristiano o islamico. Messianismi che predicano uno scontro finale tra bene e male, che assumono forme tribali e identitarie, e sognano un’egemonia globale di una razza o religione. Non importa se il luogo di questo scontro finale sia chiamato Armageddon o Dābiq.
Crediamo che il futuro di Israele sia legato al destino del popolo palestinese, e viceversa. La negazione dell’altro è la negazione di sé. Democrazia e occupazione sono incompatibili. Riconoscere i diritti del popolo palestinese porta a una vera pace e a una genuina integrazione di Israele nel suo ambiente mediorientale. La superiorità militare, il sostegno esterno, l’annessione, la pulizia etnica, la deportazione e il domicidio non rendono Israele più sicuro. Solo un vero dialogo che offre speranza e futuro a tutti gli abitanti di quella terra può farlo.
Crediamo che la solidarietà ebraico-islamica, aperta a includere in una coalizione interreligiosa cristiani e tutti gli altri, combatterà insieme tutte le forme di razzismo e xenofobia, compresi l’antisemitismo e l’islamofobia. Queste sono lotte interconnesse e inseparabili che non possono essere usate l’una contro l’altra, per non cadere in contraddizione e incoerenza.
La solidarietà con la causa palestinese e la resistenza all’occupazione non sono forme di antisemitismo. Ci sono infatti antisemiti che si dichiarano sionisti o filoisraeliani per nascondere il loro antisemitismo e giustificare la loro islamofobia. Ci sono ebrei che hanno scelto la solidarietà con i palestinesi come percorso verso la sicurezza e come lotta contro l’antisemitismo. Questo non diminuisce il pericolo dell’antisemitismo, ma dobbiamo affrontarlo con la nostra solidarietà nei suoi contesti appropriati, in particolare nel suprematismo bianco che ha prodotto il nazismo, il fascismo e le loro forme contemporanee.
La solidarietà ebraico-islamica è anche un rimedio contro la confusione tra sionismo ed ebraismo, tra lo Stato di Israele e l’Ebraismo globale. Questa confusione esiste anche tra un settore dei musulmani. Una confusione che serve solo agli estremisti di tutte le parti.
L’Olocausto fu un genocidio scandaloso e terribile che non deve mai più ripetersi, né per gli ebrei né per nessun altro popolo. Sappiamo, allo stesso tempo, che un genocidio non ne giustifica un altro, un trauma non ne giustifica un altro. L’Olocausto non giustifica l’occupazione, così come l’occupazione non giustifica il 7 ottobre, e il 7 ottobre non giustifica il genocidio a Gaza. Dobbiamo insieme spezzare questa catena infinita di traumi accumulati e offrire speranza per una vita dignitosa per tutti. La nostra fedeltà alle vittime dell’Olocausto richiede la nostra solidarietà per i diritti umani e la pace mondiale.
Condanniamo fermamente i massacri e il rapimento di civili israeliani avvenuti il 7 ottobre, nonché la continua detenzione degli ostaggi israeliani. Per la stessa ragione e per coerenza, condanniamo altresì i massacri di palestinesi verificatisi – così come la cattura di prigionieri palestinesi – sia dopo il 7 ottobre che prima del 7 ottobre.
Per creare le condizioni per la pace mondiale dobbiamo consolidare e migliorare le istituzioni internazionali e il diritto internazionale. Non viviamo in una giungla dove i potenti opprimono i deboli senza conseguenze, mettendo a tacere le critiche senza contrappeso e senza giustizia.
Incoraggiamo insieme la lotta pacifica e nonviolenta contro l’occupazione, il che non significa semplicemente rimproverare le vittime, ma richiede un coinvolgimento attivo per garantire le condizioni che permettano e promuovano questa lotta nonviolenta.
Ebrei, cristiani e musulmani, scioccati e traumatizzati dalle guerre attuali, che rifiutano la violenza in tutte le sue forme – specialmente in relazione alla guerra e all’occupazione – si uniscono per riflettere su approcci innovativi al dialogo e alla solidarietà ancora da esplorare, come richiede l’urgenza della nostra situazione attuale. Il nostro obiettivo non è adottare una posizione comoda che si limita a condannare la guerra sperando nella pace; piuttosto, cerchiamo di reinventare il dialogo interreligioso e le nostre teologie della nonviolenza.
Credendo nelle funzioni umanizzanti e disarmanti della religione e della teologia, nonostante i loro abusi e deviazioni, condanniamo tutte le forme di colonialismo ed egemonia. Denunciamo tutti gli atti di terrorismo, compreso il terrorismo di stato e il terrorismo della resistenza. L’uccisione di bambini e civili inermi è inaccettabile sotto qualsiasi giustificazione ideologica. Allo stesso tempo riconosciamo che la nonviolenza può servire una causa eticamente nobile, o essere cooptata e manipolata da chi detiene il potere. Gandhi notò che l’accettazione dell’oppressione era, a suo avviso, peggiore della resistenza violenta, sebbene la resistenza nonviolenta fosse di gran lunga superiore a entrambe in termini di moralità ed efficacia. 28
Dobbiamo affrontare domande critiche: quali sono i confini della nonviolenza? Come può essere resa efficace? In che modo i conflitti in corso rivelano le crisi del nostro tempo, evidenziando i fallimenti del sistema post-Seconda guerra mondiale? Osservando l’inefficacia delle istituzioni internazionali, le carenze del diritto internazionale e umanitario, e l’ascesa dell’estremismo di destra, ci sforziamo di articolare una posizione etica credibile che sia in linea con le nostre fedi, dimostrando solidarietà con chi soffre e viene disumanizzato.
Riaffermiamo principi etici essenziali, come l’uguaglianza intrinseca di tutti gli esseri umani e il riconoscimento che tutte le vittime meritano compassione. È cruciale riconoscere che ogni bambino e ogni adulto ha diritto alla vita, alla protezione, al cibo, all’alloggio e all’istruzione. Tuttavia, diffondere questi principi fondamentali è diventato sempre più difficile. In un’epoca in cui possiamo assistere a un genocidio in diretta streaming, portiamo un profondo fardello morale che ci spinge ad agire. Questa realtà ci esorta a impegnarci in una riflessione collettiva, rendendo il nostro dialogo e le nostre azioni più significativi ed efficaci.
Difendere i diritti ed esprimere solidarietà agli oppressi di Gaza costituisce una difesa della nostra stessa libertà e umanità. Gaza riflette i fallimenti di un ordine globale in frantumi, mettendo alla prova la nostra compassione, la nostra coscienza e il nostro impegno per la giustizia. Quando ci schieriamo con la sua popolazione, stiamo resistendo a un sistema che minaccia tutti noi.
L’incubo che si sta dispiegando a Gaza – la sua distruzione deliberata, lo sfollamento forzato della popolazione e la carestia provocata dagli uomini- stabilisce un pericoloso precedente. Questo modello di oppressione si è esteso alla Cisgiordania e potrebbe benissimo diffondersi all’interno di Israele stesso, così come da parte di regimi autoritari in tutto il mondo. Il messaggio è chiaro: con sufficiente potere, armi e impunità, si può agire senza conseguenze. Intanto, la resistenza a tale ingiustizia viene criminalizzata, presentata come una minaccia piuttosto che come un imperativo morale.
Non possiamo accettare – per noi stessi né per i nostri figli – un mondo in cui prevalgano l’illegalità e la brutalità. Questa non è solo la lotta di Gaza; si tratta di una crisi globale che esige solidarietà globale. Insieme dobbiamo lottare per un mondo etico, giusto e nonviolento, perché nessuno di noi è veramente libero finché tutti non lo saranno. 29
Conclusione
Riconosciamo che il nostro dialogo solleva altrettante questioni quante ne risolve. In quali modi le nostre teologie possono promuovere significato e vita anziché morte e distruzione? Come possiamo affrontare la devastazione a Gaza e in altre parti del mondo conservando la fede nell’intrinseca bontà dell’essere umano?
Quali approcci possiamo adottare per resistere, eticamente e umanamente, senza lasciarci consumare dall’odio, dalla rabbia o dalla disperazione?
In queste circostanze, come possiamo rappresentare la speranza gli uni per gli altri e per il mondo? L’attivista per la giustizia sociale Mariam Kaba ci insegna “Svegliarsi ogni singolo giorno e decidere di praticare la speranza”.30 Martin Luther King Jr. ci invita “a scolpire dalla montagna della disperazione una pietra di speranza”. 31 Solo con la speranza possiamo concepire un mondo migliore e trovare il coraggio di perseguirlo.
Nel nostro dialogo abbiamo trovato speranza. Il nostro saggio non rappresenta né la prima né l’ultima parola sul dialogo ebraico-islamico. In qualità di amici e studiosi offriamo questo contributo per condividere come abbiamo trovato ispirazione per la solidarietà negli insegnamenti delle nostre tradizioni. Nutriamo la speranza che, a sua volta, il nostro saggio possa gettare un seme affinché altri si uniscano a noi e sviluppino i propri dialoghi di giustizia e pace.
Note
1 Adnane Mokrani è Professore presso la Pontificia Università Gregoriana, Roma. Russell G. Pearce è Professore Emerito di Diritto e Presidente Emerito della Edward e Marilyn Bellet Chair presso la Fordham University School of Law, New York. Le opinioni riportate in questo saggio sono esclusivamente quelle degli autori e non riflettono necessariamente le opinioni delle loro rispettive istituzioni. Le loro affiliazioni istituzionali sono fornite a scopo identificativo.
2 Genesis Rabbah 24, 7.
3 Per una discussione sulla gamma di prospettive ebraiche riguardo alla questione se la definizione di “prossimo” si estenda necessariamente ai non ebrei, inclusi i commentatori che suggeriscono come l’insegnamento di b’tzelem Elohim – la creazione di tutti a immagine divina – richieda di per sé amore e rispetto per i non ebrei. Si veda: Raphael Jospe, “Love your fellow as yourself: universalism and particularism in Jewish exegesis of Leviticus 19:18”.
https://www.jcrelations.net/articles/article/love-your-fellow-as-yourself.html.
4 Mishnah Sanhedrin 4, 5 (English Joseph Kulp).
5 Levitico 19, 34.
6 Amos 5, 24
7 Deuteronomio 16, 20. Il testo completo di Deuteronomio 16:20 recita: “Giustizia, giustizia perseguirai, affinché tu possa prosperare e occupare la terra che il SIGNORE tuo Dio ti sta dando”. Secondo l’eminente commentatore, Sforno, questo testo insegna che la residenza ebraica nella terra d’Israele è subordinata alla giustizia e alla rettitudine.
https://www.sefaria.org/Sforno_on_Deuteronomy.16.20
8 https://www.reconstructingjudaism.org/dvar-torah/justice-justice/
9 https://www.aju.edu/ziegler-school-rabbinic-studies/our-torah/back-issues/justice-justice-you-shall-pursue
10 https://www.reconstructingjudaism.org/dvar-torah/justice-justice/
11 Il ḥadīth: “Dio creò Adamo a Sua immagine” (khalaqa Allāh Ādam ʿalā ṣūratihi) è riportato da al-Bukhārī e Muslim, riflettendo il versetto biblico (Genesi 1, 27). Questo insegnamento è stato oggetto di numerose interpretazioni che lo hanno inteso in senso metaforico. Alcune di esse lo leggono come: “Dio creò Adamo a sua immagine”, intendendo l’immagine di Adamo stesso, nel senso di una forma determinata.
12 Corano 17, 70. Si può rendere anche: “In verità, abbiamo conferito dignità ai figli di Adamo”. Il verbo karrama ammette entrambe le valenze semantiche.
13 Corano 38, 75.
14 Corano 2, 30-32; 15, 28-31; 38, 71-75.
15 Corano 3, 18.
16 Corano 4, 135.
17 Corano 5, 8.
18 Corano 59, 22–24.
19 Corano 2, 208.
20 Corano 5, 16.
21 Corano 6, 127.
22 Pirke Avot 1, 18.
23 Maimonides, Mishneh Torah, Sefer Zmanim, Hilkhot Hanukkah 4, 14 (citando Proverbi 3, 17).
24 Sanheddrin 37a. Sebbene nella letteratura ebraica esista un dibattito riguardo all’applicazione di questo principio soltanto agli ebrei, Menachem Mekellner spiega che l'interpretazione universalistica è sia più accurata che più persuasiva. Farteitcht un Farbessert (Sul “Correggere” Maimonide), Meorot 6:2 Marheshvan 5768 p.6 n.16. Di particolare interesse per gli scopi di questo saggio, Kellner fa affidamento sulla citazione del Corano in quanto “testimone testuale più antico del testo corretto”. Id. Molti pensatori ebrei contemporanei applicano l’approccio universalistico al linguaggio della Mishina.
Si veda, ad esempio, Rabbi Jonath an Sacks, Individual and Community 5768, https://rabbisacks.org/covenant-conversation/masei/individual-and-community/?utm; Rabbi Sylvia Rothschild, Whoever destroys a single life is considered to have destroyed a world, https://rabbisylviarothschild.com/2024/01/19/whoever-destroys-a-single-life-is-considered-to-have-destroyed-a-world/?utm, 19 gennaio 2024.
25 Corano 5, 32.
26 Maria J. Stephan and Erica Chenowith, Why Civil Resistance Works: The Strategic Logic of Non-Violent Conflict (Columbia University Press 2011).
27 Si veda, ad esempio, Satyagraha Leaflet N. 13, 17 The Collected Works of Mahatma Gandhi 4, 5; Martin Luther King Jr., Dove andiamo da qui? Il caos o la comunità? 64 (Beacon Press 2010); Maulana Wahiduddin Khan, Nonviolenza e Islam, The Pioneer, 11 gennaio 1998, https://old.cpsglobal.org/content/non-violence-and-islam-3?utm_source=chatgpt.com; The Passionate Pacifist: Essential Writings of Aaron Samuel Tamares 143 (a cura di Everett Gendler, trad. di Tzemah Yoreh e Ri Turner, Ben Yehuda Press Teaneck, NJ 2020).
28 Mahatma Gandhi, The Doctrine of the Sword, 131, 132 Sayagrapha, vol. 18, libro 91 (“Preferirei che l’India ricorresse alle armi per difendere il proprio onore piuttosto che assistere in modo codardo al proprio disonore. Tuttavia, credo che la nonviolenza sia infinitamente superiore alla violenza, e che il perdono sia più virile della punizione”). Cfr. anche Martin Luther King Jr., “L’organizzazione sociale della nonviolenza”, Liberation 4 (ottobre 1959): pp. 5-6, nota 5 (citando Gandhi). Gandhi e King sostengono inoltre che la violenza non fa che generare cicli di violenza.
29 Fannie Lou Hamer, “Nobody’s Free Until Everybody’s Free”, pp. 134-39, in The Speeches of Fannie Lou Hamer: To Tell It Like It Is (Davis W. Houck and Maegan Parker Brooks eds., Margaret Walker Alexander Series in African-American Studies, University Press of Mississippi 2011).
30 Kelly Hayes and Mariame Kaba, Let this Radicalize You: Organizing and the Revolution of Reciprocal Care, pp. 226-27 (Haymarket Books 2023).
31 Martin Luther King, Jr., “I Have a Dream Speech”, August 28, 1963, https://avalon.law.yale.edu/20th_century/mlk01.asp.
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