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ABBRACCIARE LE VITTIME

Tratto da: Adista Documenti n° 68 del 06/10/2007

“Due ebrei e un bambino vengono appesi alla forca ad Auschwitz, di fronte a tutti i prigionieri. I due ebrei muoiono rapidamente, mentre il bambino tarda a morire. Allora si alza un grido dietro di me: “Dov’è Dio?”. Io resto in silenzio. Alcuni istanti dopo torna a gridare: ‘Dov’è Dio?’. E una voce dentro di me risponde: ‘Dov’è Dio? Lì, appeso alla forca!’” (cfr Moltmann J., Selecciones de Teología, 12, 6)

Erano i tempi in cui la manodopera della morte avanzava su migliaia di vite. Tempi dolorosi di Guerra Mondiale. Orrori. Un bambino sulla forca, ci racconta Moltmann. La nostra psiche non può fare altro che restare in silenzio. Tuttavia, bisogna ricomporsi dall’orrore e parlare, esprimere, riempire i nostri spazi, le nostre conversazioni, le nostre riunioni, i nostri eventi, di parole di vita. Il silenzio ci aiuta a ricomporci per poi dire con autorità la parola che tutti e tutte dobbiamo dire: basta con la morte. Basta con istituzioni che trasformano esseri umani in macchine per uccidere il prossimo. Basta con istituzioni che restano in silenzio facendosi complici di questi crimini e dei criminali. Basta con ideologie che presentano l’uomo come lupo dell’uomo.

Gli orrori delle guerre mondiali sembravano lontani quando gli Stati, attraverso gli organismi internazionali, pensavano, concordavano, elaboravano, pianificavano e dichiaravano i Diritti Umani.

Distanti cronologicamente dagli avvenimenti bellici che hanno scosso il XX secolo, non possiamo dire di aver imparato da tali fatti mostruosi. Nella nostra particolare storia nazionale, alcuni fatti aberranti vissuti nei campi di concentramento nazisti si sono tristemente ripetuti in diverse forme di tortura fisica e psicologica, in una raffinata metodologia di morte, fino a trovare un modo distintivo per il nostro Paese: la scomparsa forzata di persone.

Tutte le dittature che si sono svolte nel nostro Paese tra il 1930 e il 1980 hanno apportato il loro “granello di sabbia” a forme aberranti di violazione della dignità umana. Ma, senza dubbio, la dittatura civile-militare che ha avuto inizio il 24 marzo del 1976 ha distrutto migliaia di persone e di famiglie e, in definitiva, la nostra società, le cui ferite sanguinano ancora.

Naturalmente, la Chiesa è stata presente, come ai tempi di Gesù, nel difendere e dare la vita. La lista di uomini e donne, difensori e vittime, è molto lunga. Li andremo ricordando piano piano in altre lettere, per prenderci tutto il tempo che esigono queste vite straordinarie. In questo momento non possiamo evitare di menzionare Carlos Múgica (assassinato nel maggio del 1974), i padri pallottini, i sacerdoti Carlos de Dio Murias e Gabriel Longueville e il catechista laico Wenceslao Pedernera, assassinati nel luglio del 1976 a La Rioja. E infine non possiamo non ricordare questo grande pastore che è stato mons. Enrique Angelelli.

Tuttavia, altri membri della Chiesa sono accusati di aver frequentato centri clandestini di detenzione, a fianco dei torturatori, degli assassini e degli stupratori, prendendo parte a sessioni di tortura e a vessazioni, abusando del ruolo sacerdotale per fare interrogatori, e tante altre aberrazioni.

In questi giorni si svolge il processo al sacerdote Christian Von Wernich. Un profondo dolore mischiato a indignazione e impotenza ci inonda come seguaci di Gesù. Siamo rispettosi delle leggi, pertanto attendiamo che il potere giudiziario, come istituzione repubblicana, giudichi i suoi atti e decida sul futuro di questo sacerdote. Futuro che, certamente, non hanno avuto i desaparecidos.

Mentre, oggi come ieri, chiediamo e speriamo giustizia, dal Dipartimento Giustizia e Pace di questa diocesi continuiamo ad esprimere solidarietà alle vittime e alle loro famiglie, seguendo l’esempio del nostro primo vescovo Jorge Novak, che, in quegli anni del terrorismo di Stato, senza tacere nulla e con piena consapevolezza, difese la vita.

Così oggi, con tutta chiarezza, affermiamo che Dio non è dalla parte dei carnefici. È, senza dubbio, dalla parte delle vittime. Egli stesso lo sperimentò sulla croce. Sulla croce di Gesù vi sono le vittime, i crocifissi della storia. Non c’è alternativa per quanti credono in Gesù: il nostro posto è con le vittime.

Per questo, a partire dal nostro impegno per la vita, vogliamo dire alle famiglie e ai parenti di queste vittime che cercano giustizia: sentano il nostro abbraccio di fratelli e sorelle, e in esso ricevano l’amore del Risorto che è stato anch’egli vittima sulla croce dell’ingiustizia dei potenti e che li ha vinti. Ricevano in questo abbraccio la speranza, il calore e la tenerezza dello Spirito Santo. Sosteniamo e accompagniamo i testimoni che con coraggio danno conto nei tribunali dell’orrore sofferto. Crediamo che solo con la verità otterremo che un giorno risplenda per tutti e per tutte il sole della giustizia. Mentre lottiamo perché questo giorno sia possibile, sappiano che c’è posto per il loro dolore nei nostri cuori, nelle nostre braccia e nelle nostre mani di fratelli e sorelle della Chiesa di Quilmes, desiderosi di essere fedeli al progetto di Gesù che è venuto perché tutti e tutte abbiano la vita in abbondanza.

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