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SOLO LA GIUSTIZIA SEGUIRAI

Tratto da: Adista Documenti n° 68 del 06/10/2007

Di fronte al fatto di pubblico dominio dell’inizio del processo a padre Cristian Von Wernich, sacerdote cattolico ed ex cappellano della polizia di Buenos Aires durante l’ultima dittatura militare, vogliamo dire qualche parola per favorire la riflessione delle nostre comunità cristiane.

Nel 1976 ebbe inizio la notte più oscura della storia della Patria, la dittatura più criminale sofferta nel Paese. Fu una dolorosa realtà quella che noi argentini subimmo, nella quale la vita era disprezzata fino all’aberrazione, i diritti più elementari delle persone calpestati senza alcun limite.

Questa realtà ci fa ancora male, perché, nonostante siano passati quasi 25 anni dalla fine di questa dittatura, come popolo non abbiamo rielaborato ciò che è accaduto e per questo la verità è ancora rinchiusa nelle denunce, la giustizia non ha gettato luce su questa verità e i responsabili di tanti crimini continuano a rifugiarsi nell’impunità. Come Chiesa, non abbiamo potuto fare a meno di essere parte di questa realtà e come Chiesa abbiamo subito gli attacchi della dittatura criminale.

Non possiamo dimenticare quello che disse Giovanni Paolo II all’inaugurazione della Terza Conferenza Generale dell’Episcopato dell’America Latina e dei Caraibi a Puebla:

“La Chiesa ha imparato dal Vangelo che la sua missione ha come parte importante l’azione per la giustizia e l’impegno di promozione dell’uomo. L’azione della Chiesa nei campi della promozione umana, dei diritti delle persone, della giustizia vuole essere sempre al servizio dell’uomo. Non è per opportunismo né per ansia di novità che la Chiesa, esperta in umanità, difende i diritti umani, ma per autentico impegno evangelico” (Giovanni Paolo II, Discorso inaugurale alla Conferenza episcopale a Puebla 1979).

Oggi questo atteggiamento deve essere messo in risalto in modo molto eloquente nel processo penale che vede imputato un sacerdote della nostra Chiesa, accusato di aver partecipato a crimini aberranti.

Per questo, in occasione di questo processo, ci sembra opportuno invitarvi ad un momento di riflessione che ci permetta di superare la superficialità degli organi di informazione, per andare più a fondo nella nostra  responsabilità di cristiani e aiutarci così a convertirci in veri testimoni del Dio della Vita.

Non possiamo non riconoscere con dolore che, per quanto non tutta la gerarchia sia stata sorda alla sofferenza di tanti fratelli (vari Pastori hanno portato conforto e consolazione e hanno mostrato il loro impegno in questa ora tragica della Patria; fra questi ricordiamo don Jaime Hesayne, Angelelli, Novak, Ponde de León e gli innumerevoli sacerdoti e laici fedeli al Vangelo), non tutta la Chiesa ha assunto questo atteggiamento, che è imprescindibile per essere coerenti con quello in cui crediamo e che predichiamo.

 Possiamo ricordare le parole dei vescovi latinoamericani riuniti con Giovanni Paolo II: “Angosce a causa degli abusi di potere, tipici dei regimi di forza. Angosce a causa della repressione sistematica o selettiva, accompagnata da delazione, violazione della privacy, pressioni sproporzionate, torture, esilio. Angosce di tante famiglie per la scomparsa dei loro cari, di cui non possono avere nessuna notizia. Insicurezza totale per detenzioni senza mandato giudiziario. Angosce per un esercizio della giustizia sottomessa e impedita. Come insegnano i Sommi Pontefici della Chiesa, ‘per un autentico impegno evangelico’ si deve far sentire la propria voce denunciando e condannando queste situazioni, ancor di più quando i governi o i responsabili si professano cristiani” (Documento di Puebla, n. 42).

Troppo silenzio, mancanza di partecipazione pubblica alle richieste dei familiari dei desaparecidos, orecchie da mercante ai richiami alla giustizia, troppa debolezza nel nominare il male ci hanno fatto apparire vicini ai dittatori della morte, mentre avremmo dovuto essere apostoli della Vita.

Nel 2000, abbiamo chiesto perdono come Chiesa, ma in una cornice così solenne (l’Incontro Eucaristico Nazionale a Córdoba) e con un linguaggio così poco chiaro che disgraziatamente la maggior parte di noi non ha capito che la Chiesa stava chiedendo perdono per il suo operato durante la dittatura.

Per questo, nel momento in cui si sta processando un nostro fratello per la sua possibile partecipazione ai delitti che hanno caratterizzato quella dittatura, riteniamo necessario e positivo riflettere sul nostro comportamento di cristiani.

Non si tratta di giudicare noi p. Christian Von Wernich, ma sarà bene fare memoria e pensare a quale atteggiamento ha avuto ciascuno di noi, le nostre comunità e tutta la Chiesa di fronte alla violazione della vita e dei più elementari diritti umani.

Sarà bene riconoscere che c’è ancora oggi bisogno di unirci come fratelli, con l’umiltà del peccatore che si pente sul serio, per chiedere perdono e riconoscere che manca molto per parlare di vera giustizia e pace e per un’autentica riconciliazione.

Che questo atteggiamento ci porti a non scegliere mai più di rimanere in silenzio, di restare indifferenti, di chiuderci nelle nostre paure; al contrario, ci porti ad assumere la responsabilità di annunciare il Dio della Vita (costi quel che costi), difendendo i diritti e la dignità di tutto l’essere umano e di  tutti gli esseri umani.

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