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MONDO ECCLESIALE SULLA SCONFITTA DELLA SINISTRA: "NON È UNA BUONA NOTIZIA"

Tratto da: Adista Notizie n° 35 del 03/05/2008

34397. MILANO-ADISTA. La scomparsa della sinistra cosiddetta ‘radicale’ dal Parlamento ha raccolto il plauso pressoché unanime da parte della stampa cattolica istituzionale (Avvenire, Famiglia Cristiana, stampa diocesana). Eppure, all’interno di alcuni settori del mondo cattolico, si comincia a riflettere sul fatto che la débâcle della Sinistra Arcobaleno significhi anche la sostanziale scomparsa dal dibattito parlamentare di temi come l’esclusione sociale, l’integrazione degli immigrati, la pace, la solidarietà. Fronti sui quali ampi settori della Chiesa avevano spesso collaborato e trovato una ‘sponda’ nella sinistra, e che si trovano invece raramente rappresentati dai politici e dai partiti ‘cattolici’. Il tutto in un momento in cui entrambi gli schieramenti mettono l’accento sulla sicurezza e ignorano temi come la povertà e l’emarginazione, limitandosi a riassumerli nella categoria del "degrado". Erano preoccupazioni già ampiamente emerse dal nostro ‘sondaggio’ pre-elettorale "Su questa scheda", ma che sembrano adesso coinvolgere settori più ampi.

Il volantinaggio contro l’arcivescovo di Milano, card. Dionigi Tettamanzi, ‘colpevole’ di aver difeso dei Rom sgomberati (v. Adista n. 31/08) è stato il preludio di un’affermazione larghissima della Lega. Ma è da tempo che la Lega ha preso di mira in tutto il Nord la Chiesa impegnata nel sociale: dal caso del parroco di Opera (Mi) don Renato Rebuzzini, costretto anche lui ad andarsene per il suo sostegno ai Rom (v. Adista n. 61/07) a quello della chiesa di Trento che aveva aiutato a raccogliere soldi per la costruzione di una moschea (v. Adista n. 29/08), dagli attacchi contro don Luciano Scaccaglia (v. Adista n. 1/04) a quelli contro il prete di un paesino vicino Treviso che aveva concesso ai musulmani una sala parrocchiale per la preghiera del venerdì. È forse per questo che proprio dal Nord sono arrivate le prime riflessioni critiche all’indomani del voto. Interpellato dal Redattore Sociale, don Virginio Colmegna, presidente della Casa della Carità di Milano, sulla vittoria della Lega commentava: “La gente ha paura, i problemi sociali però restano e vanno affrontati, cercando di abbassare la conflittualità. Andiamo avanti con un progetto che è soprattutto di tipo culturale. È necessario immettere nella vita politica e sociale una riflessione e uno scambio di idee che porti a ragionare senza contrapposizioni preconcette sui problemi. Noi lavoriamo a favore degli emarginati, al di là di chi governa. L'unica cosa che non facciamo è speculare sulla paura”.

Più esplicito, mons. Giuseppe Pasini (presidente della Fondazione Zancan, già direttore della Caritas Italiana, protagonista insieme a mons. Giovanni Nervo e a don Luigi Di Liegro di quel rilancio non più assistenziale ma promozionale dell’associazione non sempre condiviso dal card. Camillo Ruini), che dopo aver premesso che “la vittoria di Berlusconi non mi fa piacere”, aggiunge: “Mi preoccupa la cancellazione della sinistra dal Parlamento, perché ora come ora ci sono milioni di cittadini che non hanno una rappresentanza e bisognerà domandarsi i possibili effetti di questa situazione. L’assenza di interlocutori che nell’immaginario collettivo difendono i più deboli responsabilizza sicuramente i partiti più grandi che se ne devono fare carico”. Altrettanto preoccupante è l’affermazione della Lega “con la sua filosofia sugli immigrati e sul ‘diverso’”, mentre per quel che riguarda “i due partiti vincitori”, “nessuno dispone di un piano di lotta alla povertà, gli interventi nel sociale sono tendenzialmente curati solo nell’aspetto monetario ma non in quello dei servizi”. Simile preoccupazione viene espressa anche da Andrea Olivero, presidente delle Acli, per il quale “la scomparsa della Sinistra più radicale dalla rappresentanza parlamentare impoverisce il quadro politico generale. E chiama le forze politiche ad una maggiore assunzione di responsabilità”.

All’ottimismo ‘istituzionale’ di Pasini e Olivero, però, si contrappone l’analisi impietosa del presidente della Comunità di Capodarco, don Vinicio Albanesi, che dopo aver constatato che “la popolazione precaria (poveri, anziani, immigrati) non ha avuto interlocutori” in campagna elettorale e “i risultati elettorali hanno confermato disinteresse e noncuranza”, prevede adesso un panorama sociale dominato da “aziende sociali” e “esercito della salvezza”, senza possibilità di fare spazio a messaggi critici, profetici, liberatori. “Essendo scomparsa abbondantemente la filosofia della solidarietà (tra generazioni, tra territori, tra culture) – spiega Albanesi – saranno i prevalenti (cittadini a pieno titolo) a suggerire i contenuti, le modalità, le quantità di politica sociale per le fasce di popolazione marginale. Appellandosi arbitrariamente ai principi della sussidiarietà, cresceranno le ‘aziende sociali’: saranno loro affidati i servizi. Esse dovranno essere capaci di gestire il sociale come qualsiasi altro ‘affare’ economico. Parteciperanno ai bandi offrendo, al minor costo possibile, i servizi che l’amministrazione pubblica chiederà loro. Una tendenza già ampiamente in atto nel nord d’Italia che sarà estesa nel resto del Paese. I motivi addotti saranno moltissimi, alcuni nobili, altri meno: la filosofia resta quella del rapporto economico del contratto. Che cosa serve, a chi e a quale prezzo sarà stabilito dal committente: alle ‘aziende sociali’ la sola libertà di partecipare”. E lì dove non arriverà la sussidiarietà cara a quella Cl fortemente schierata con Silvio Berlusconi, ci sarà spazio solo per l’elemosina: “Il 5 per mille, la raccolta fondi, le fondazioni si moltiplicheranno per drenare risorse. Ancora una volta l’elemosina ritorna con prepotenza nel welfare. Questo scenario, per noi, è umiliante. Prima di tutto perché alcuni (i più bisognosi) non saranno più considerati soggetti portatori di dignità, ma solamente destinatari di aiuto. In secondo luogo perché coloro che dovranno offrire risposte saranno ‘mercenari’: non avranno voce per far emergere problemi, per essere coscienza critica, ma saranno ridotti a ‘operatori’ ad appalto (e per giunta al ribasso)”.

È una situazione che arriverà a coinvolgere direttamente la Chiesa stessa, che lo voglia o meno. Ne è consapevole don Vittorio Nozza, direttore (in scadenza di mandato) della Caritas Italiana. Per il sacerdote, nel quadro uscito dalle urne, “c’è il rischio che chi si impegna nel sociale, a favore degli emarginati, venga a sua volta emarginato. Questo è vero per la Caritas come per la Chiesa in generale, non solo nella sua azione caritativa, ma anche in quella culturale”. “In campagna elettorale e all'indomani dei risultati – spiega – ho sentito linguaggi e affermazioni che, anziché affrontare i problemi, li peggiorano. Certi modi di esprimersi non servono a nessuno, non portano contributo, finiscono per montare e far crescere una mentalità negativa anche nei confronti degli sforzi della Chiesa, di chi si impegna nel sociale, delle istituzioni”. Don Vittorio non fa nomi, ma - aggiunge: “Ho trovato che chi parlava contro l'immigrazione faceva poi riferimento alla dottrina sociale della Chiesa, ma la Chiesa non dice cose che vanno contro le persone, soprattutto di quelle che faticando cercano di trovare uno spazio e una dignità”. (a. s.)

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