UN CUORE DI CARNE NON SI PUÒ IMBALSAMARE. DON LUISITO BIANCHI SULL'AMBIGUA "CANONIZZAZIONE" DI MAZZOLARI
Tratto da: Adista Documenti n° 47 del 02/05/2009
DOC-2129. MILANO-ADISTA. Un francobollo a lui dedicato, un annullo filatelico, celebrazioni, convegni, pubblicazioni. Addirittura una commemorazione alla Camera dei Deputati, presieduta da Gianfranco Fini (ironia della sorte, proprio dall'epigono di quell'ideologia di cui fu sempre irriducibile oppositore): il 50.mo della morte di don Primo Mazzolari non è passato di certo inosservato. Anzi, forse il prete pacifista ed antifascista di Bozolo, anticipatore della stagione conciliare e del dialogo tra cattolici e sinistra, viene in queste settimane anche un po' troppo celebrato. Tanto da far pensare che la sua esaltazione postuma sia più funzionale alla normalizzazione della sua figura, alla narcotizzazione del suo pensiero profetico, che ad una ricostruzione rigorosa del suo percorso politico ed ecclesiale (il Tg1, nell'edizione delle 20 del 21 aprile, ne ha ricordato l'impegno nella lotta al comunismo...).
A pensarla così è anche don Luisito Bianchi, scrittore e già prete operaio, che don Primo lo ha conosciuto bene. In una lettera inviata al coordinatore nazionale di "Noi Siamo Chiesa" Vittorio Bellavite, che gli aveva chiesto una riflessione sulla figura di don Primo in occasione di un pellegrinaggio "alternativo" a Bozzolo che il movimento aveva organizzato per lo scorso 18 aprile, don Luisito scrive infatti: "Accetto tutta l'ufficialità come il prezzo che questo nostro grande fratello deve pagare, come altri che lo precedettero su questa linea, a tranquillizzare a basso prezzo buone coscienze, perché non è possibile imbalsamare un cuore di carne che continuamente pulsa negli scritti e nei comportamenti di don Primo"
La pace. "Adesso"
Nato nel 1890, figlio di agricoltori socialisti, Mazzolari ebbe una vocazione molto precoce e fu ordinato prete nel 1912. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, si schierò con gli interventisti, ma dall'esperienza bellica, cui partecipò da cappellano militare, tornerà – come tantissimi altri intellettuali italiani - profondamente deluso e cambiato. Dopo la guerra, don Primo divenne parroco a Cicognara e poi a Bozzolo, due centri in provincia di Mantova (diocesi di Cremona), dove trascorrerà tutta la vita. Lì, a partire dal rifiuto della guerra, approfondì un percorso umano e religioso che lo porterà ad assumere posizioni di radicale pacifismo, fino a pubblicare, in forma anonima, nel 1955 un piccolo Tu non uccidere, che resta la testimonianza di una delle posizioni più avanzate del pacifismo cristiano.
Per questo sua intransigente radicalità politica ed evangelica, don Primo non poté che schierarsi, sin dall'inizio, contro il fascismo. Già nel 1922, a proposito di certo entusiasmo cattolico verso il nascente regime, scriveva che "il paganesimo ritorna e ci fa la carezza e pochi ne sentono vergogna". Nel novembre del ‘25 si rifiutò di cantare il Te Deum organizzato in tutte le chiese italiane come ringraziamento a Dio per aver sventato un attentato a Mussolini. Nel ‘29 si rifiutò di partecipare al plebiscito che seguì la ratifica dei Patti lateranensi.
Nel 1943, alla caduta del fascismo, don Primo strinse rapporti con la Resistenza. L'anno successivo fu arrestato dai nazifascisti. Liberato, entrò in clandestinità fino alla Liberazione. Nel dopoguerra si schierò a fianco della Democrazia Cristiana, ma su posizioni di sinistra, vicine a quelle di un celebre dirigente cattolico cremonese, Guido Miglioli, ex organizzatore sindacale dei braccianti cattolici ed ex deputato del Partito Popolare. Nel dopoguerra Miglioli era però approdato alla collaborazione stretta con il Partito Comunista. Mazzolari no, anche se nel 1949 - anno della scomunica di Pio XII ai comunisti – scrisse: "Combatto il comunismo, amo i comunisti". Quello stesso anno iniziava le sue pubblicazioni Adesso, un giornale fondato da Mazzolari per dare spazio alle "avanguardie cristiane". La testata, cui si "abbeverarono" figure cardine del cattolicesimo conciliare (come Milani, Turoldo e Balducci) andò incontro a polemiche e traversie, e fu anche accusato di essere finanziato dai comunisti. Mazzolari subì da parte della gerarchia ecclesiastica pesanti sanzioni, come la proibizione di predicare fuori diocesi senza il consenso dei vescovi interessati e il divieto di pubblicare articoli senza preventiva revisione ecclesiastica. Dovette anche cedere la direzione del giornale, cui continuò però a collaborare. Fu però molto amato dal card. Roncalli, che vide papa per appena un anno, morendo nel 1959.
In una udienza concessa da Paolo VI alla sorella di don Primo, dieci anni dopo la morte del parroco di Bozzolo, il papa, già da diversi anni estimatore di Mazzolari disse: "Hanno detto che non abbiamo voluto bene a don Primo. Non è vero. Anche noi gli abbiamo voluto bene. Ma voi sapete come andavano le cose. Lui aveva il passo troppo lungo e noi si stentava a tenergli dietro. Così ha sofferto lui e abbiamo sofferto noi. Questo è il destino dei profeti".
Per ricordare in modo non retorico la figura di don Primo, nel tentativo di restituirgli tutta la sua profetica radicalità, pubblichiamo qui di seguito la lettera di don Luisito Bianchi, preceduta da quella di Vittorio Bellavite. (valerio gigante)
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