Firenze/Quasi un sinodo Una chiesa di troppe certezze non accoglie. Abbandona
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 60 del 30/05/2009
Forse non è prudente una valutazione immediata sull’incontro di Firenze “Il vangelo che abbiamo ricevuto” (che qualcuno ha già denominato il “sinodo di Firenze”). La prima impressione, tra i partecipanti, è stata molto positiva. Ma bisogna vagliare con calma sia il clima, sia i contenuti confluiti. Un criterio sarà anche la capacità di proseguire il cammino e il modo di orientarlo.
Il clima di soddisfazione può essere dovuto, almeno in parte, alla decompressione seguita ad una lunga stagione di oblio del Concilio, con le voci della chiesa popolare e pensante ridotte in sempre meno spazio e ascolto, in circoli locali piuttosto isolati, comunicanti tramite pochi fogli poveri e alcune reti sottili.
Però, la gioia provata ieri a Firenze è dovuta anche alla equilibrata composizione della libertà e franchezza critica con la serietà spirituale, la responsabilità comunitaria ecclesiale. La preghiera ha aperto e chiuso, e anche abbastanza impregnato la conversazione intensa. Le critiche alla conduzione gerarchica, raccolte in preparazione e durante il convegno, si sono fatte carico di ciò che più conta: la trasmissione del vangelo che abbiamo ricevuto, che ci è stato consegnato col battesimo e che abbiamo accettato nella fede. Questa trasmissione oggi è molto difficile, forse è drammaticamente interrotta. Una causa è nell’immagine esterna che la chiesa dà, di essere una forza sociale in competizione di potere con le altre. Ma ciascuno di noi sa di avere il compito arduo di trovare un linguaggio e dare segni adatti a comunicare il messaggio di Gesù all’uomo post-moderno, perciò ai giovani, oggi in gran parte ignari del tesoro che la chiesa ha nelle mani.
Nel complesso, i convenuti a Firenze hanno detto che non sono né contro né senza i vescovi e il papa, ma non stanno sotto come sudditi silenziosi, non sono cinghia di trasmissione di direttive morali cattoliche da tradurre in leggi e ordinamenti. Le leggi le fanno elettori e legislatori cattolici, nella mediazione democratica e laica, come cittadini in libero confronto con chiunque altro, nella realtà comune, cercando il risultato più giusto possibile, che non può essere sempre il valore cattolico.
Soprattutto, Firenze ha detto la volontà di stare in una chiesa che annuncia e testimonia la salvezza portata da Cristo a tutti, e non regole e giudizi troppo sicuri su problemi spesso nuovi e difficili. Dalla comunicazione liberante del bene che ci salva nella libertà, discenderà per ogni coscienza una pratica di giustizia e di amore e un contributo civile di ciascuno al tono morale della società. In radice, ciò riguarda anche il modo di pensare Dio e la vicenda di Gesù.
Riunirsi così è fare “chiesa sinodale”, è camminare insieme in stile conciliare, che è l’esatto contrario sia della sottomissione pavida, sia di quello scisma silenzioso e sommerso di tanti che si tirano fuori dalla fraternità che ascolta Cristo, perché non possono accettare di trovarvi diktat morali (a volte terribilmente duri) più che vangelo, giudizi più che misericordia, quando la loro vita è difficile, quando le coscienze serie sono davanti a interrogativi nuovi, e scoprono in sé sensibilità mutate, forse in meglio. Una chiesa di troppe certezze e direttive non accoglie, ma abbandona. In questa chiesa siamo tutti noi desiderosi di essere discepoli di Gesù, e l’immagine che essa offre, e la parola che porta, sono compito anche nostro. “Cristiani adulti”, diceva Bonhoeffer. Adulti si diventa non per presunzione, ma perché la vita con le sue prove ci matura. A quel punto sarebbe un peccato contro lo Spirito “rimbambire”, ritornare bambini, lasciarsi trattare da bambini, che è l’opposto dell’evangelico diventare trasparenti come bambini, senza deporre il peso e la dignità della responsabilità.
Non abbiano paura, i vescovi, di un “dissenso” organizzato. Stiano attenti anche al troppo “consenso”, e a quale consenso ricevono, e quali protezioni! L’importante è il “senso”, che sia quello del vangelo. E – forse possiamo dirlo – imparino anche loro a discutere, a confrontare serenamente le differenze legittime nell’ascolto dell’unico Cristo, e i differenti cammini spirituali, ma convergenti all’orizzonte. Ci sono anche tra loro le differenze, spesso senza il coraggio di emergere. Lo sappiamo. Chi ha ministeri nella chiesa di Cristo non sarà, noi lo speriamo, funzionario di una organizzazione, obbligato (o ricattato) dalla struttura più che guidato dallo Spirito. Diano ascolto alle donne, a tutti i laici, a chi è nel lavoro, nella famiglia, nella politica, nella cultura, e avvicinino il giorno evangelico in cui sarà loro possibile non essere più una categoria chiusa, innaturale perché solo maschile e celibe, che si riproduce spesso in fotocopia, per cooptazione. Il clericalismo insidia la chiesa più degli avversari. Dove non c’è umanità intera è difficile il discepolato cristiano intero. Sappiano che se si mettono a fianco di questi laici cristiani, trovano più aiuto che critiche. Aiutati, potranno meglio aiutare.
Dopo Firenze, dopo le parole liberate, viene altro lavoro, ma prima viene il silenzio, la riflessione interiore, davanti a Dio. Nessuno è maestro, né sostituto di maestri, ma tutti siamo discepoli e fratelli, in una fraternità “senza confini”, fino a tutto l’orizzonte umano. Ognuno guardi il pezzo di terra a lui affidato, da lavorare in silenzio, giorno dopo giorno. per poter trovare e scambiare ancora parole giuste, per una vita più giusta.
Dopo alcuni primi scambi di impressioni dopo Firenze, che devono continuare, ora direi: comprendo bene che si sia escluso di concludere il dibattito con delle mozioni, che richiedevano una procedura. Considero tutto l’evento di Firenze una prima preziosa occasione che raccoglie buone energie locali. Ma ora è importante che si sviluppino linee di sostanza, specialmente sulla barbarie crescente nella politica governativa italiana e nella psicosi popolare infettata e corrotta scientificamente dalla strategia mediatica dei poteri dominanti e rozzi.
Tocca alle religioni e alla cultura reagire attivamente, profondamente, chiaramente, e insieme. È necessario un nuovo illuminismo spirituale, filosofico, giuridico, umano, e popolare, che denunci la disumanizzazione in corso e indichi linee per superarla, praticabili dalle persone comuni.
Questo nostro movimento, manifestatosi per ora nell’incontro bello di Firenze, è ancora tanto “ecclesiocentrico”, che è stato un limite, comprensibile, anche del Concilio. Va bene l’iniziativa nella chiesa, ma il centro delle cose non è la chiesa: il centro è, come dice Panikkar, “cosmoteandrico” (mondo-Dio-umanità), perciò laico. Quindi: il vangelo più della chiesa, la fede più dell’organizzazione della fede, l’umanità più della chiesa, e una chiesa “senza confini” (come scriveva sorella Maria a Mazzolari e a Gandhi), con l’orizzonte dell’umanità. E quindi le questioni umane, anzitutto, che sono la ragione per la quale Gesù Cristo ha vissuto e ci ha amato “fino in fondo”, per salvare l’umanità da se stessa, e per la quale, nonostante ogni male, lo Spirito di Dio soffia dove vuole, in molti modi e su molte vie, nell’umanità.
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