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SEDOTTI DAL FASCINO DI MAMMONA. NEL MERCATO GLOBALE, CRISTIANI A RISCHIO DI IDOLATRIA

Tratto da: Adista Documenti n° 65 del 13/06/2009

DOC-2146. BERGAMO-ADISTA. È, il nostro, un mondo “radicalmente ateo”, attraversato com’è da una guerra di tutti contro tutti, così lontano “dall'accoglienza della vita come dono di un Essere Supremo e benevolente”. È, ancor meglio, un mondo idolatrico, retto dal Mercato inteso come “assoluto”, “come tradimento dell'identità cristiana, come sostituzione del vecchio monoteismo con uno nuovo, come apostasia collettiva dal Dio di Abramo, di Mosè, di Gesù”: in termini biblici, “come unico pastore del popolo”.

Tracciando questa lettura del nostro tempo  nel corso del Convegno nazionale dei Preti Operai svoltosi a Bergamo dal 30 aprile al 2 maggio sul tema “L’idolo è nudo: metamorfosi del capitalismo” (v. Adista n. 55/09) - il gesuita Felice Scalia, dell'Istituto Superiore di Scienze Umane e Religiose (Issur) di Messina, si è soffermato sul ruolo che il cristianesimo ha giocato in questa deriva, venendo meno al compito di evangelizzare la cultura, cioè di portarla “ad un livello superiore di pienezza non solo per tutto l'uomo ma anche per ‘ogni uomo’” per lasciarsene, al contrario, mondanizzare, assimilandosi “al ‘mondo’ (nel senso giovanneo), all'Impero, al ‘sistema’”, e finendo così “per trasformare il Dio della vita in un idolo”. Cosicché, sottolinea Scalia, “nulla è più urgente nella Chiesa oggi del rimuovere ogni dubbio sulla purezza di una nostra fede nel Dio di Gesù”: “Sono tante le cose interessanti e all'ordine del giorno nella Chiesa (...), ma la questione delle questioni è ‘quale Dio’. Sarebbe devastante che qualcuno potesse ritenerci monoteisti mentre siamo solo volenterosi e lieti idolatri”.

Il dubbio è più che lecito. Se l’Occidente cristiano è approdato al culto della ricchezza, qualcosa deve essere andato molto sorto nella trasmissione dell’insegnamento di Gesù che crea opposizione “tra ricchezza e fede nel Padre”, in quanto “chi sta col denaro ha perso Dio”. Di fronte a un sistema in cui il benessere di alcuni significa l’abiezione di molti, un cristiano avrebbe infatti dovuto perlomeno sentirsi a disagio: “Forse avremmo avuto lo stesso il capitalismo selvaggio dei nostri giorni, ma ‘non in nostro nome’ e, tanto meno, in nome di Gesù”. E invece “i cristiani, storicamente, non si sono sottratti per nulla al fascino di Mammona. Hanno optato per Abbà nelle preghiere ufficiali dentro gli edifici sacri, ma hanno finito per adorare Mammona nella vita di ogni giorno”.

Ma Scalia non chiude in nessun modo alla speranza di “un altro mondo possibile”, di “un uomo altro”, di “una società più degna dei figli di Dio”: “Oggi - conclude il gesuita - le nostre speranze sembrano sconfitte, siamo dei ‘perdenti’ secondo gli uomini, ma chissà, questo nucleo di ‘marginali’ custodisce un segreto, un grumo splendido di fede, una ricetta di felicità, lanciata 2000 anni fa sul ‘monte delle beatitudini’ dall'Amico della ‘gente di cattiva reputazione’, ed ancora intatta. Quella esperienza che ha riempito la nostra vita e le ha dato un senso indimenticabile, è l'unica leva da cui il mondo e la Chiesa devono ripartire se vogliono essere custodi del futuro”.

Di seguito ampi stralci del lungo intervento di Felice Scalia. (claudia fanti)

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