COLPITO AL CUORE
- Come Vaticano e vescovi Usa stanno affossando il dialogo ebraico-cristiano
Tratto da: Adista Contesti n° 94 del 26/09/2009
Tratto dalla "Jewish Telegraphic Agency", agenzia della comunità ebraica americana (13/9/2009). Titolo originale: "A precarious moment in catholic-jewish relations".
I vescovi cattolici statunitensi hanno recentemente approvato due documenti che colpiscono al cuore la relazione di fiducia tra cattolici ed ebrei.
Il primo documento reintroduce l’idea che i cattolici possono usare il dialogo interreligioso come mezzo per invitare gli ebrei al battesimo cristiano. Il secondo elimina un insegnamento del catechismo secondo cui l’alleanza tra Dio e Mosè e il popolo ebraico è valido per l’eternità. Questo profondo cambiamento, affermato dal Vaticano, fa riemergere per molti ebrei lo spettro di un possibile ritorno a concetti odiosi come il supersessionismo (la condanna degli ebrei alla dispersione a causa del rifiuto del Messia, ndt) e la dottrina del disprezzo, che hanno causato agli ebrei danni irreparabili nel corso dei secoli.
Questi nuovi sviluppi sono gli ultimi di una serie di problematici capovolgimenti avvenuti a partire dall’estate del 2007, e hanno fatto sì che alcuni, nella comunità ebraica, abbiano seriamente riconsiderato le condizioni per la continuazione del dialogo.
Come siamo arrivati a questo punto?
La trasformazione del rapporto ebraico-cattolico è cominciata con la Nostra aetate adottata nel 1965 al Concilio Vaticano II. Questo testo storico ha posto le fondamenta di un nuovo rapporto positivo e ha dichiarato che la relazione ebraica con Dio permaneva.
Il Vaticano ha proseguito con nuove direttive, emanate nel 1974, che affermavano che i cristiani “devono sforzarsi di imparare i tratti essenziali grazie a cui gli ebrei definiscono se stessi alla luce della propria esperienza religiosa” e sollecitando il dialogo con un occhio alla “reciproca comprensione e al rispetto”.
Nel novembre 1980, papa Giovanni Paolo II, parlando a Magonza, in Germania, affermò che gli ebrei sono il popolo “dell’An-tica Alleanza, mai revocata da Dio”. Chiamò gli ebrei “l’attuale popolo dell’alleanza conclusa con Mosé”. Nel 2000, il pontefice si recò sul monte Sinai e sottolineò il momento, affermando: “Tuttavia, ora sulla sommità del Sinai, questo stesso Dio suggella il suo amore stringendo l'Alleanza alla quale non rinuncerà mai”.
Le forti espressioni del papa hanno aiutato il nascente dialogo ebraico-cristiano a sviluppare un senso di fiducia e di sincerità.
Altri documenti e dichiarazioni della Chiesa hanno approfondito la relazione; nel 2001, la Pontificia Commissione Biblica ha pubblicato il rapporto “Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana”, che parla della elezione permanente del popolo ebraico e suggerisce che la sua “aspet-tativa ebraica messianica non è vana”. Il cardinale Joseph Ratzinger, ora papa Benedetto XVI, ha svolto un ruolo importante nella produzione di questo documento.
Nel 2001, poi, il cardinale Walter Kasper, presidente della Commissione Vaticana sulle relazioni religiose con gli ebrei, ha affermato la validità dell’Alleanza del Sinai, definendo il patto di Dio con il popolo ebraico “un’eredità viva, una realtà viva”.
Negli ultimi tre anni, però, qualcosa è cambiato. La nave vaticana ha cambiato rotta, e il dialogo sta scivolando in un processo lento e sempre più inconsistente, che minaccia la fiducia e l’onestà che abbiamo faticato così tanto a costruire. Nel 2007, papa Benedetto XVI ha riportato in auge la preghiera del venerdì santo “per la conversione degli ebrei”, una chiara rottura rispetto alla precedente versione del 1970 che evitava di menzionare la conversione. E quest’anno, ha aperto la porta al potenziale ritorno alla Chiesa di un gruppo tradizionalista scismatico, la Società di San Pio X, che rifiuta le riforme del Vaticano II e nei cui vertici vi è un vescovo negazionista.
A giugno, la Conferenza episcopale statunitense senza consultare né avvertire i propri partner ebrei, ha pubblicato una “Nota sulle ambiguità contenute nelle riflessioni sull’Alleanza e la Missione”, che rifiuta la chiara affermazione secondo cui non possono esservi tentativi di convertire gli ebrei all’interno del dialogo interreligioso. Al contrario, i vescovi americani hanno detto che i dialoghi ebraico-cristiani possono essere esplicitamente utilizzati per invitare gli ebrei al battesimo. E ci hanno detto che questo cambiamento era stato prescritto dal Vaticano.
Il 27 agosto i vescovi hanno annunciato che il Vaticano aveva ufficialmente affermato la sua decisione di gettare a mare un insegnamento del catechismo degli adulti americano, secondo cui “l’alleanza che Dio ha stretto con il popolo ebraico tramite Mosè era eternamente valida”. La Conferenza episcopale statunitense aveva diverse possibilità per aggiornare il proprio catechismo degli adulti, ma ha scelto invece di non affermare più la validità dell’Alleanza del Sinai.
Non c’è modo di evitare che questi due documenti siano due colpi consecutivi alla fiducia nella continuità della riforma della Chiesa cattolica nelle sue posizioni sugli ebrei.
Ci troviamo, quindi, ad un bivio, che solleva questioni più profonde sulle ragioni di questi cambiamenti. Perché la Conferenza episcopale Usa, che è stata un modello per il resto del mondo nel forgiare una nuova relazione con il popolo ebraico, ora pubblica documenti che minacciano di distruggere le stesse fondamenta del dialogo? E perché svalutare l’alleanza di Mosè, che è centrale nella concezione ebraica di sé, eliminando l’affermazione chiara della sua validità eterna, insinuando quindi che l’alleanza di Mosè è stata sostituita?
La Conferenza episcopale parla a nome di una Chiesa che pretende di avere un dialogo sincero con gli ebrei. La pubblicazione di documenti sugli ebrei che dimostrano ben poca preoccupazione per la comprensione che questi hanno di sé, sembra fondamentalmente in contraddizione con questo obiettivo.
Questi sono tempi difficili per le relazioni ebraico-cristiane. Eppure, il processo non è concluso e resta ancora molto lavoro da fare. Daremo voce ai nostri timori con onestà e schiettezza, con ogni speranza che la relazione continui su un solido fondamento.
Chiediamo solo che i nostri interlocutori e amici nella Chiesa cattolica ascoltino le nostre preoccupazioni, le prendano sul serio e capiscano perché siamo così addolorati.
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