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Ci vorrebbe uno scarto

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 13 del 13/02/2010

La politica italiana è avviluppata attorno ai problemi personali del presidente del Consiglio e questo intreccio sembra sempre più depotenziarla e sterilizzarla. Dagli scandali estivi all’aggressione milanese, dall’infinito strascico di leggi ad personam alle profferte di improbabili grandi riforme intese a coprire l’istanza unica: la salvaguardia personale. Il declino dell’impero è visibile a chiunque non chiuda gli occhi, ma il protagonista occupa ancora saldamente la scena. E riduce a comprimari tutti gli altri attori, che si consumano e si dividono in assurde discussioni su quali siano i toni opportuni e su quanto ci sia di sentire condiviso nella nostra democrazia. Problemi rilevanti, intendiamoci, ma troppo inquinati dall’ingombrante presenza dell’egocrate per poter essere affrontati con qualche costrutto.

Ci vorrebbe uno scarto, uno spariglio delle carte, una capacità di dire le cose con semplicità e chiarezza, che invece l’opposizione nel suo insieme non riesce ad esprimere. Il prossimo appuntamento delle regionali, così, si avvia a proporre un profilo modesto, dopo aver messo in mostra un’abbondante misura di divisioni e lotte intestine. Il Partito Democratico di Bersani si è fatto troppo condizionare dall’esigenza di giungere all’accordo con l’Udc, consegnando al partito di Casini un’inaccettabile potere di veto. La forza di una libido autolesionistica sta distruggendo pian piano le condizioni anche positive costruite negli anni: dopo il Lazio, Bologna; dopo la Puglia, ora anche l’Umbria. Non sono solo incidenti di percorso, appaiono sempre di più come segnali dell’assenza di un vero collante culturale e politico, e come difficoltà radicali del centro-sinistra di rispondere al minimale obiettivo di selezionare una classe dirigente almeno affidabile. È frustrante sentire che, di fronte all’enormità dei problemi di chi ci governa, succedano cose che possano portare gli elettori a dire: “Ma allora sono tutti uguali!”.

Ci vorrebbe uno scarto. E quale migliore occasione ci sarebbe che il tentare una risposta alla grande crisi finanziaria ed economica in corso? La disoccupazione cresce, i bilanci pubblici si sono accollati le perdite private, le banche ricominciano a macinare profitti, le borse risalgono. Tutto sembra concluso con il solito Pantalone che paga. Il centro sinistra tartaglia, invece di impostare un discorso sulla netta discontinuità necessaria: regole, equità, priorità, incentivi. Romano Prodi lo ha suggerito con chiarezza qualche mese fa: il riformismo dovrebbe fare autocritica perché negli ultimi anni è stato troppo condizionato del “pensiero unico”.

La sinistra cosiddetta radicale, dal canto suo, non è pervenuta, tranne qualche comparsata pubblica con i lavoratori sui tetti delle fabbriche in crisi. Ma non bastano le stanche ritualità della piazza. Occorre costruire con creatività alternative di governo credibili. Solo su questo la democrazia e la sinistra saranno giudicate, alla fine.

 

Docente di Storia contemporanea, ex presidente di Città dell’uomo

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