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Il rischio del “nuovo centro”

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 40 del 16/11/2013

Quasi ci viene a noia. Alludo all'ennesima, puntuale riproposizione della suggestione di una formazione politica che dia corpo a un centro nominalmente cattolico.

In premessa, si richiede una bonifica del linguaggio. Ancora una volta, il linguaggio giornalistico mistifica. A fronte della frattura tra Monti da un lato e Mauro e Casini dall'altro un po’ tutti i media hanno parlato di una divaricazione tra laici e cattolici.

Notoriamente Monti è un “buon cristiano”. Solo che non ama ostentarlo e predilige qualificarsi culturalmente e politicamente come liberale. Un cattolico liberale. In questo nostro Paese, l'eredità lunga della questione romana (il conflitto tra Stato liberale unitario e Chiesa cattolica), il rilievo dei cattolici politicamente impegnati a lungo dentro quel partito singolarissimo e irripetibile che è stata la Democrazia cristiana e il vezzo inveterato di settori della gerarchia di patrocinare operazioni politiche sono tre fattori che alimentano una certa confusione linguistica e concettuale. Che non è priva di conseguenze ai fini dell'analisi e della proposta.

Non si raccomanderà mai abbastanza la cura di distinguere tra categorie proprie della religione e categorie proprie della politica. Nel caso in oggetto, chiamando le cose con il loro giusto nome, il conflitto è tra liberali, laici o indifferentemente cattolici, da un lato, ed ex Dc di orientamento conservatore dall'altro.

Ciò che li ha divisi, dopo la breve e precaria esperienza comune sotto le insegne di Scelta civica a guida Monti, è una questione genuinamente pratico-politica: da un lato chi, lo stesso Monti, deciso a preservare una sua equidistanza/terzietà tra Pd e Pdl almeno sin tanto che il centrodestra non sarà compiutamente deberlusconizzato; dall'altro chi, l'Udc, Mauro e Formigoni (politici di riferimento di Comunione e Liberazione, insieme a Lupi), inclini a bruciare le tappe verso il centrodestra con il dichiarato proposito di offrire una sponda ai governativi del Pdl, che danno mostra di aspirare a smarcarsi da Berlusconi e comunque di concorrere a garantire la fiducia al governo Letta.

Come si vede, questioni a tutto tondo politiche, che nulla hanno a che vedere con il cattolicesimo (chi mai si azzarderebbe a sostenere che Formigoni, Mauro e Lupi siano più cattolici di Monti?).

Semmai si tratta dell’annosa e vexata disputa intorno alla possibilità/opportunità di dare corpo a una formazione politica di centro autonoma dai due principali schieramenti. L'implosione di Scelta civica conduce piuttosto alla conclusione di quanto sia difficile (e forse inopportuno, aggiungo di mio) sfidare l'assetto bipolare del sistema politico italiano. Già ci avevano provato vanamente, negli ultimi venti anni, politici decisamente più abili e sperimentati del professor Monti: Martinazzoli e Segni, Cossiga e Mastella, D'Antoni e lo stesso Casini, che ora di nuovo veleggia allegramente verso il centrodestra. A parte il partito regionale e in declino della Lega, è solo il Movimento 5 stelle che si rifiuta di posizionarsi secondo lo schema destra-sinistra. Ma esso fa caso a sé, non mette in discussione la sostanza del bipolarismo in quanto più radicalmente si sottrae a responsabilità di governo e persino al paradigma della democrazia rappresentativa, in nome del mito della democrazia diretta affidata alla rete (ma, in realtà, a una leadership carismatico-personale).

Difficile avanzare previsioni sugli sviluppi del conflitto che si è aperto dentro Scelta civica e palesemente correlato a quello dentro il Pdl con riguardo a due questioni che lo hanno lacerato: l'incandidabilità di Berlusconi e il suo nesso con il sostegno al governo Letta. E difficile anche formulare auspici. Da un lato è certo auspicabile l'emancipazione del centrodestra italiano dall'ingombro del populismo di Berlusconi; dall'altro non va sottaciuta la preoccupazione di una revoca del bipolarismo originata dalla lievitazione di un centro mobile d'impronta clerico-moderata anziché liberale. Un centro foriero di instabilità e di trasformismo. Un centro di sicuro non riformatore.

Questi rilievi suggeriscono due conclusioni : a) si discuta dei fanti ma si lasci stare i santi, le questioni di cui si ragiona interrogano laicamente la politica, ma nulla c'entrano con la religione; b) ancora una volta si conferma il deficit di visione di quei settori della gerarchia che avevano dato un avallo più o meno esplicito alla operazione politica improvvisata da Monti di cui oggi si misurano tutti i limiti. Si pensi a Todi 1 e 2. Ne sanno qualcosa quei rappresentanti dell'associazionismo cattolico socialmente impegnato (dalle Acli alla Comunità di Sant’Egidio) che avrebbero potuto immaginare la propria condizione disagiata di oggi: quella di essere condannati a scegliere tra una formazione minoritaria più liberista che liberale con un leader a mezzo servizio, o una loro deriva a destra in compagnia di clericali e dorotei. Senza neppure la certezza che quel campo politico si sia affrancato dal dominio di Berlusconi.

* Senatore Pd, impegnato nell’associazione “Città dell’Uomo”

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