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ARRESTATO IN PARAGUAY L’EX CAPPELLANO ARGENTINO COMPLICE DELLA DITTATURA

Tratto da: Adista Notizie n° 20 del 31/05/2014

37667. ASUNCIÓN-ADISTA. Colpito il 6 ottobre 2013 da ordine di cattura internazionale per omicidio, sparizione forzata e torture, perpetrati durante la dittatura argentina, l’ormai ottantenne ex cappellano militare Aldo Omar Vara (v. Adista Notizie n. 37/13) è stato arrestato il 28 aprile in Paraguay, a Ciudad del Este, nella parrocchia Virgen del Rosario dove si era nascosto da quando, il 6 agosto 2013, era stato spiccato contro di lui un mandato di arresto. Svolgeva normale attività pastorale, sotto altra identità, grazie all’accoglienza offertagli dal vescovo della diocesi, mons. Rogelio Livieres Plano, dell’Opus Dei. 

In un comunicato del 3 maggio scorso emesso per incarico di Livieres, la diocesi ha voluto ringraziare Vara «per la dedizione e il sacrificio dimostrati in questo breve periodo in cui ha svolto attività pastorali». Sì, era un ricercato dall’Interpol, riconosce il comunicato, ma su di lui non pendeva alcuna sanzione canonica. Nel comunicato si afferma che comunque p. Vara «è stato accolto su richiesta del suo vescovo», quello di Bahia Blanca (diocesi d’origine dell’ex cappellano; il comunicato non fa il nome dell’ecclesiastico, che attualmente è mons. Guillermo Garlatti). E non è finita: ad ampliare lo scandalo c’è il fatto che ogni mese a Vara è stato consegnato, tramite persona appositamente incaricata del ritiro (l’impresario immobiliare Leopoldo Bochile), un assegno con la pensione. L’emolumento è giunto puntuale anche durante gli otto mesi di latitanza dell’ex cappellano, quando inoltre pendeva su di lui una taglia di 100mila dollari (circa 72mila euro) decretata dal Ministero argentino di Giustizia e Diritti Umani insieme al mandato d’arresto. 


Aldo Vara, sempre in fuga dalla giustizia

Vara fu cappellano militare dal 1971 al 1979 nel V Commando dell’Esercito e del Batallón de Comunicaciones 181 nella città di Bahía Blanca. Svolse il suo ruolo nel centro clandestino detto La Escuelita sostenendo la giunta argentina, fino ad assistere personalmente alle torture perpetrate ai sequestrati. Alcuni di questi, sopravvissuti e testimoni nel Processo per la Verità di Bahia Blanca iniziato nel 1998, lo riconobbero. Egli ammise, ma era il 1999 e nulla si poté fare per incriminarlo essendo ancora vigenti le leggi di impunità (abrogate nel 2005, estinguevano i procedimenti disposti a carico delle persone coinvolte nei crimini commessi fino alla data del 10 dicembre 1983, giorno della fine della dittatura). Nel 2012, la sentenza di condanna del primo gruppo di repressori bahiensi considerò provata la «colpevolezza» di Vara nei sequestri e nelle torture e ordinò l’apertura di un’indagine che nell’aprile del 2013 stabilì l’esistenza di prove sufficienti per l’arresto. 


Mons. Guillermo Garlatti, sospetto di menzogne

Quando all’inizio di maggio la stampa argentina ha fatto il nome di mons. Garlatti quale vescovo autore della «richiesta» di accogliere Vara, Garlatti ha negato di avere avuto mai a che fare con l’ex cappellano, in quanto Vara – così ha spiegato un comunicato della curia ispirato dal vescovo – ha abbandonato la diocesi nel 2001, due anni prima che Garlatti ne assumesse la guida. Il luogo dove riparò il sacerdote incriminato non è indicato. L’informazione la fornisce però Horacio Verbitski (Página12, 11/5): Vara fu inviato (allontanato per proteggerlo, si dice) «in una residenza della congregazione fanatica del Verbo Incarnato, a San Rafael in Mendoza». «Ma che casualità!», esclama fintamente stupito Verbitski: «L’allora vescovo di San Rafael era proprio Garlatti». Il quale, inoltre, ancora nello scorso novembre ha negato di conoscere l’indirizzo del ricercato. Eppure a questi arrivava la pensione con puntualità svizzera. Onorario erogato da «una cassa amministrata dalla Chiesa cattolica», puntualizza Verbitski, tanto che il 9 maggio è stata eseguita una perquisizione negli uffici diocesani, a seguito dell’apertura di un’indagine a carico di Garlatti (e di Bochile) con l’imputazione di favoreggiamento di latitante. L’imputazione potrebbe non fermarsi all’istanza diocesana, poiché i soldi, rileva il giornalista, non provenivano certo «dal salvadanaio di Garlatti».


Mons. Livieres, opusdeista molto… “accogliente”

Il vescovo di Ciudad del Este ha in un certo senso scaricato la responsabilità della protezione del ricercato p. Vara sul vescovo di Bahia Blanca, ma non è la prima volta che concede rifugio a un sacerdote straniero oggetto di forti denunce. Fu scandalo nel 2008 quando si venne a conoscenza del caso dell’argentino Carlos Urrutigoity, accusato di ripetuti abusi sessuali su minori. Allontanato più volte da diocesi e collegi, fu espulso infine dalla diocesi statunitense di Scranton (Usa) e accolto da mons. Livieres, che nel 2005 nominò Urrutigoity formatore presso il seminario San José de Ciudad del Este, e in seguito vicario generale, carica che ricopre tuttora. Insieme a Urrutigoity, liveires accolse il sacerdote Eric Ensey, anch’egli accusato di abusi sessuali ed espulso da Scranton. I due, inoltre aveva fondato La Società di San Giovanni, una comunità di preti tradizionalisti ex lefebvriani). 

Così come, nel 2009, fece scalpore all’interno dell’episcopato paraguayano, che non ne era avvertito, la lettera riservata, inviata a Benedetto XVI, in cui mons. Livieres denunciava «disordine dottrinale» e «mancanza di coerenza tra la dottrina della Chiesa da un lato e l’azione di vescovi e sacerdoti dall’altro», sostenendo che in Paraguay si sarebbe costituita una specie di Chiesa nazionale o parallela, compromessa con la Teologia della Liberazione, «in contrapposizione alla Chiesa universale», e che la formazione dei futuri sacerdoti nel Seminario Maggiore sarebbe stata più politica che teologica, tanto da costringerlo a creare un altro seminario in Alto Paraná. Pertanto, il vescovo suggeriva di scegliere i futuri vescovi tra i preti stranieri «con una salda adesione alla dottrina ortodossa» (v. Adista n. 28/09). (eletta cucuzza)

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