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Sospetti tra Cei e movimenti pro-vita. Un divorzio al Family Day?

Sospetti tra Cei e movimenti pro-vita. Un divorzio al Family Day?

ROMA-ADISTA. Si anima il dibattito sulle unioni civili, impantanato in un iter parlamentare che si sta dimostrando più lungo e faticoso del previsto. Al centro della polemica, questa volta, non più la firmataria del ddl in discussione Monica Cirinnà, le "lobby gay" o gli altri soggetti istituzionali che intenderebbero “omosessualizzare” la società italiana, eliminando le diversità di genere e distruggendo la famiglia tradizionale, ma nientemeno che la Conferenza episcopale italiana e il suo segretario, mons. Nunzio Galantino, colpevole, secondo non specificate «voci» raccolte nel mondo politico ed ecclesiale, di aver partecipato ad alcune “cene di lavoro” con la stessa autrice del contestatissimo disegno di legge, al fine di raggiungere un «accordo sulle unioni civili» prima del varo da parte del Parlamento. «Un'ipotesi inquietante», denunciano Manif Pour Tous Italia e ProVita Onlus in un comunicato congiunto dell'8 luglio, «che alla luce dell’enorme partecipazione popolare al Family Day del 20 giugno a Roma contro il ddl Cirinnà rischia di produrre effetti deflagranti sull’opinione pubblica e necessita un chiarimento immediato». Anche perché, ribadisce il presidente di ProVita Toni Brandi nel comunicato, rappresentando la posizione dei manifestanti di piazza San Giovanni in merito, «sul ddl Cirinnà non è possibile alcun compromesso».

E la smentita è arrivata: «Non ho mai incontrato in nessuna occasione la senatrice Monica Cirinnà», ha dichiarato all’Ansa il segretario della Conferenza episcopale italiana, aggiungendo che qualunque compromesso o patto tra governo e vescovi è «del tutto infondato». «Noi ci aspettiamo – ha detto ancora – che tutto quello che il governo fa, lo faccia nel rispetto della famiglia costituzionale, soprattutto ci interessa che il governo potenzi le politiche familiari della famiglia fondata su un padre e una madre che sembrano attualmente assolutamente latitanti». E comunque «quello che abbiamo da dire al governo – ha concluso – lo abbiamo detto in tante occasioni pubbliche».

Anche l'on. Monica Cirinnà ha smentito: «Mai stata a cena con monsignor Galantino, ma non escludo che mi farebbe molto piacere», sono state le sue parole.

Prima ancora della dichiarazione all'Ansa di mons. Galantino, in una nota dell'agenzia della Conferenza dei vescovi italiani Sir firmata dal portavoce della Cei don Ivan Maffeis si poteva leggere: «È significativo che, prima di diffondere la "notizia", non sia stato fatto alcun tentativo per verificarne la veridicità. In questo modo non si difendono valori, ma si veicolano falsità, sconcerto e confusione».

Contattato oggi da Adista, il presidente di ProVita ha voluto rimarcare: «Non siamo stati noi a lanciare la notizia ma l'abbiamo ripresa per un dovere di chiarimento nei confronti del “popolo di piazza San Giovanni”», notoriamente preoccupato per le conseguenze della legge sulle unioni civili. «Siamo felici», ha detto ancora Toni Brandi, «perché la smentita del segretario della Cei ci rassicura, e questo era proprio lo scopo della nostra decisione di rilanciare la notizia sul presunto incontro Cei-governo».

Ma le polemiche non sembrano destinate a placarsi e questo piccato botta e risposta lascia intendere che il matrimonio tra Chiesa italiana e movimenti che hanno gravitato intorno a piazza San Giovanni, siglato dalla Cei del card. Camillo Ruini, versi oggi in una condizione di crisi piuttosto acuta. Ad allargare la frattura, proprio la manifestazione romana del 20 giugno scorso promossa dal Comitato “Difendiamo i nostri figli” e dalla galassia di associazioni e movimenti cattolici “no gender”, tra cui anche quello neocatecumenale, che hanno più volte sottolineato l'indifferenza “ufficiale” dei vescovi italiani e la latitanza dei loro organi di informazione, Avvenire e Sat2000. E come dar loro torto? Se, in occasione del primo Family Day, promosso contro i ben più blandi Di.Co. dell'allora premier Romano Prodi, la bandiera della Cei svettava in prima fila, sull'evento del 20 giugno sono arrivate solo le dichiarazioni di solidarietà (in verità non poche) di singoli vescovi e del vicariato di Roma. Ma nessuna forma di protagonismo ufficiale da parte della Cei.

I tempi sembrano cambiati anche per la Chiesa italiana che, sebbene sposi pienamente le tesi dei movimenti su gender e unioni gay (lo dimostrano anche le martellanti campagne in punta di penna sul quotidiano Avvenire), si trova forse rinchiusa nel vicolo cieco del nuovo corso pontificio il quale, almeno formalmente, chiede alla Chiesa e alle sue gerarchie più dialogo e meno contrapposizione frontale.

Un'altra chiave di lettura – ma siamo nell'ambito delle congetture – potrebbe essere la consapevolezza acquisita dai vertici della Chiesa italiana di una guerra comunque persa in partenza (il caso Irlanda conferma), alla quale far corrispondere, sul piano pubblico, forti dichiarazioni e denunce in sostegno alla famiglia tradizionale e, sul piano diplomatico sotterraneo, tentativi di contenimento del danno tessendo relazioni e tentando accordi con il potere politico e (sempre in teoria) laico, nella più classica strategia della real politik e del “minor male”. E questo confermerebbe i timori delle associazioni che hanno lanciato l'allerta.

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