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Periodici paolini nella tempesta. Lo sciopero e il digiuno eucaristico dei giornalisti

Periodici paolini nella tempesta. Lo sciopero e il digiuno eucaristico dei giornalisti

Tratto da: Adista Notizie n° 44 del 23/12/2017

39175 MILANO-ADISTA. Naviga in pessime acque la Periodici San Paolo, editrice di grandi testate cattoliche quali Famiglia Cristiana, Jesus, Credere e il Giornalino, nonché la Gazzetta d’Alba. Lancia infatti un «drammatico grido d’aiuto» l’assemblea dei giornalisti del 12 dicembre, che ha deciso all’unanimità per il 14 dicembre una giornata di sciopero e di digiuno, per protestare contro l’annullamento degli accordi integrativi da parte dell’azienda nel giugno scorso, cui sono seguiti tre mesi di sfiancanti trattative tra editore e Comitato di redazione, che al momento non hanno dato risultati. Il 28 giugno, infatti, l’azienda aveva comunicato al Cdr la disdetta e il recesso da tutti i contratti collettivi aziendali, e l’aveva fatto, oltretutto, in concomitanza con la presentazione di un piano editoriale – dai giornalisti giudicato vago e pertanto irricevibile – da parte del direttore di Famiglia Cristiana, don Antonio Rizzolo, il quale aveva richiamato allo «spirito di squadra, all’entusiasmo, all’armonia e alla fiducia», per continuare a pubblicare un prodotto di qualità. Già allora era stato indetto uno sciopero di 3 giorni.

Tagli indiscriminati e sacrifici abnormi

«Purtroppo, l’autorevolezza e la qualità delle nostre riviste sono sempre più minacciate da una politica aziendale miope e di corto respiro che considera tutti i lavoratori, giornalisti e impiegati, soltanto una riga di costo del bilancio mortificandone la dignità professionale», afferma il documento uscito dall’assemblea dei giornalisti. Di qui la necessità di una forma di protesta forte come quella del digiuno: «Siamo costretti, nostro malgrado, a questo gesto simbolico che non ha precedenti nella quasi centenaria storia di Famiglia Cristiana». «Con questo digiuno – prosegue il documento dei giornalisti – vogliamo esprimere tutta la nostra preoccupazione per il futuro delle testate e dei nostri posti di lavoro e per denunciare l’accentramento di tutti i poteri e le funzioni nelle mani di una sola persona»; «Vogliamo denunciare con sgomento che l’azienda non ha alcuna idea seria e credibile di futuro, rappresentata dall’assenza di un piano industriale degno di questo nome, se non quella di tagliare lo stipendio dei giornalisti e impiegati imponendo solo tagli, sacrifici e umiliazioni. L’azienda non può chiedere ai giornalisti la collaborazione per lanciare nuovi prodotti editoriali senza metterli nelle condizioni di poter svolgere il proprio lavoro». 

Di qui la volontà di «dire no alla logica del ricatto da parte dell’azienda che vuole continuare ad agire, in maniera indiscriminata, sul taglio degli stipendi dei giornalisti e degli impiegati chiedendo un impegno di lavoro quasi triplicato»: «Fra qualche mese, anche percepire lo stipendio diventerà agli occhi dei vertici aziendali un odioso privilegio da estirpare in nome della crisi». Non ha alcun fondamento, affermano i giornalisti delle riviste paoline, «il pregiudizio aziendale che ci considera dei privilegiati e degli irresponsabili», perché già da quattro anni sono stati attivati ammortizzatori sociali: solidarietà e cassa integrazione: «Abbiamo visto vicedirettori costretti a dimettersi o collocati in cassa integrazione a zero ore. Abbiamo visto un’intera redazione costretta a subire una pesantissima decurtazione dello stipendio per evitare il licenziamento di sette colleghi alla vigilia del Natale 2015», scrivono. Ma i tagli non riguardano solo i giornalisti delle testate: anche per gli impiegati è stata disposta la cassa integrazione fino al 50, 70 e anche 100%, e alcune persone sono state «letteralmente messe alla porta». «Con questo digiuno – è la conclusione – vogliamo gridare tutta la nostra indignazione perché, a causa dell’atteggiamento di questa dirigenza, è venuto meno lo spirito di collaborazione tra credenti laici e consacrati sancito dal Concilio Vaticano II e che fino a qualche anno fa, pur nella diversità di vedute, è stato vissuto con successo all’interno della Periodici San Paolo».

L’azienda: toni aggressivi ingiustificati ma si va avanti

Immediata e durissima la risposta dell’azienda, che il giorno stesso esprime «costernazione, stupore e rammarico» per la comunicazione dei giornalisti; costernazione per i «toni aggressivi» e «contenuti che ci lasciano allibiti», «insulti, attacchi personali, vere e proprie falsità, ricorso artificioso a luoghi comuni»; non ci sarebbe «nessuna apertura o proposta» ma solo «gratuita e immotivata indignazione». Stupore, prosegue l’azienda, perché il 13 e il 19 dicembre erano già in programma due incontri, uno con il Cdr e l’altro con il tavolo nazionale (con Cdr, Fieg e Fnsi), che dimostrano disponibilità «al dialogo e al confronto». «Dal mese di settembre – continua il comunicato – quasi ogni settimana i responsabili aziendali si sono seduti attorno a un tavolo con il Cdr per trovare insieme una strada percorribile». L’azienda afferma di aver tentato di tutto, in questi anni, per «preservare, per quanto possibile, l’occupazione», nel pieno rispetto «dei diritti dei singoli, nella piena osservanza delle norme di legge, di contratto e aziendali». La presa di posizione dell’assemblea dei giornalisti, dunque, sarebbe «ingiustificata», ma in ogni caso l’azienda intende andare avanti nell’«azione di risanamento», con «il contributo e la collaborazione di tutti».

Come stanno davvero le cose

Luciano Scalettari, membro del Cdr, ci aiuta a fare chiarezza sulla situazione. Una situazione, osserva, totalmente disconosciuta e ribaltata da don Rosario Uccellatore, attuale responsabile delle opere della congregazione, che ne fa una narrazione edulcorata. 

Dopo la disdetta unilaterale dei patti integrativi di giugno, racconta Scalettari, si è arrivati a una tregua: per l’estate non ci sarebbero stati altri scioperi in cambio di una contestuale trattativa sul rinnovo dei patti integrativi. Negli ultimi mesi, incontri settimanali non hanno portato se non a «parole al vento»: «Dopo un anno dall’arrivo dei nuovi responsabili non si è ancora visto un piano editoriale, le proposte fatte non sono mai state prese in considerazione e a gennaio ci troveremo con altre 5 persone in meno», spiega. 

Il declino dei periodici San Paolo viene da lontano. Risale al 2001 l’ultimo grande rilancio delle riviste, con una ristrutturazione costata 7 milioni di euro. In questi ultimi 15 anni di errori, mancate strategie e crisi economica, spiega Scalettari, le riserve patrimoniali sociali, pari a 150 milioni di euro, si sono prosciugate, fino a scendere a numeri a una cifra. Nel gennaio 2012 (provinciale dei Paolini era don Vincenzo Marras, poi per anni direttore di Jesus, e don Giusto Truglia, responsabile delle Opere), per porre un freno alla crisi e rilanciare i periodici venne incaricato come direttore generale un laico, grande esperto esterno, Maurizio D’Adda, già direttore marketing al Sole24ore. D’Adda, circondandosi di un pool di persone capaci e creative (dal giornalista Francesco Gaeta, già vicecaporedattore area lavoro e relazioni industriali al Sole, chiamato a fare il vicedirettore, al direttore creativo Luca Pitoni, tra i più rinomati in Italia, a Giovanna Calvenzi, consulente per l’immagine e fotografa), è riuscito in quasi tre anni, grazie ad una sapiente gestione, a portare i costi annuali dell’azienda da 13 a 3 milioni di euro, e contestualmente a provvedere a una riorganizzazione dell’azienda, a dare spazio a nuovi progetti (risale a quest’epoca il lancio delle riviste Credere e Benessere) e ristrutturazioni dei prodotti editoriali, ridando fiato ai periodici.

Ma la luna di miele è durata poco. Nel 2014, don Truglia è stato sostituito da don Sante Sabatucci nella veste di amministratore unico, ed è cominciata una fase di “riappropriazione” delle proprie creature editoriali, culminata con l’epurazione del pool di D’Adda, sostituito nel ruolo di direttore generale dallo stesso Sabatucci, mentre Uccellatore (che nella gestione D’Adda era “solo” responsabile commerciale) è diventato amministratore delegato di Editoriale San Paolo, ruolo che ricopre tuttora. Dopo quattro anni di pesantissima applicazione degli ammortizzatori sociali, e in una situazione in cui questi sono stati attualmente riproposti, i periodici hanno risentito di questo impoverimento: progetti incompiuti, mancanza di tempo e di risorse (attualmente i giornalisti sono meno di 20, erano una sessantina 30 anni fa) per gestire svariati periodici e un sito internet che fa, comunque, quasi 2 milioni di visite al mese, ma che non pare essere preso in considerazione dalla proprietà tra le risorse dell’azienda. A soffrire, i dipendenti, giornalisti e non: la loro busta paga è decurtata di quattordicesima e quindicesima, del forfait per gli straordinari (calcolati, ormai ampiamente per difetto, stante la mole di lavoro, in 22 ore mensili), dei bonus tecnologici, oltre a quanto portato via dalla cassa integrazione. In totale, un taglio che sfiora la metà degli stipendi. 

La crisi non riguarda però solo i periodici. A essere profondamente compromessa è la stessa congregazione dei Paolini, proprietaria e editrice, a corto di vocazioni e di competenze competitive, con – spiega Scalettari – soltanto 40 su 200 religiosi sotto i 70 anni in Italia. 

La versione dell’azienda

Il quadro drammatico è confermato da Marco Tosatto, giornalista di Jesus e Credere, anch’egli membro del Cdr in un’intervista a Radio Radicale del 13 dicembre: ci sono stati chiesti altri tagli per altri due anni, fino ad arrivare al 40-45% dello stipendio, conferma. Cosa che saremmo anche disposti a subire, purché in presenza di una proposta strategica seria e di una linea editoriale precisa che, al contrario, non ci sono. Manca, insomma, una visione aziendale complessiva e aperta sul futuro, e questo fa diventare inutile ogni sacrificio, commenta con amarezza. L’azienda delega la progettazione di nuovi prodotti ai giornalisti, ma come è pensabile portare avanti cantieri, stanti il lavoro già aumentato, l’organico gravemente insufficiente, le risorse ridotte, la cassa integrazione? Si tratta di una concezione del lavoro che ne smentisce la dignità, tanto sottolineata dal magistero di papa Francesco, e per questo i giornalisti hanno deciso di non partecipare, il 14 dicembre, presso l’auditorium don Alberione (fondatore della congregazione) alla Messa di Natale, tradizionalmente momento di condivisione e di unità nell’azienda, celebrata dall’arcivescovo ambrosiano mons. Delpini (gesto, questo dei giornalisti, criticato dal direttore di Famiglia Cristiana don Angelo Rizzolo, che ricopre l’incarico da un anno). Delpini che, nell’omelia, ha velatamente criticato la protesta dei giornalisti: nel contesto della comunicazione, ha detto, «sono due le logiche che possono emergere: la prima dell’esibizionismo contrapposta a quella della testimonianza. Per gente che lavora nella comunicazione, che, per missione, per preparazione professionale e competenza deve comunicare trasmettendo un messaggio – come è, nel caso della Famiglia Paolina – non si tratta di professione o di una tecnica, ma di una vocazione in cui è coinvolta non solo la competenza, ma la vita stessa». «Chi si espone in pubblico», dunque, deve «vigilare per evitare la logica dell’esibizionismo. La stessa che Gesù rimprovera agli scribi e ai farisei».

Completamente diversa la versione che della situazione fornisce, in un’intervista sempre a Radio Radicale del 13 dicembre, don Uccellatore. Appropriandosi dei meriti del risanamento degli anni 2012-2014 (nella sua narrazione non viene minimamente citata la gestione D’Adda, vera responsabile della pur breve svolta), ne minimizza i costi umani, limitandosi alla descrizione di un’operazione tesa a risparmiare sui costi di produzione (sostituzione dei fornitori, rinegoziazione dei costi di carta, trasporti, stampa, riduzione degli spazi in affitto) che da sola avrebbe sortito l’effetto di portare i costi, per il 2015, da 13 milioni a 50mila euro e, per il 2016, a 167mila. Nessun cenno ai sacrifici dei giornalisti e dei dipendenti non giornalisti: sono considerati dei privilegiati, con una busta paga «sovrabbondante» che ammonterebbe, tra tutte le voci, «a venti mensilità di cui se ne chiedono solo due», poiché l’azienda chiede «la rinuncia solo agli integrativi, non agli stipendi» (invece le voci tagliate sono invece tutte nella busta paga). Uccellatore parla anche del «fronte dei ricavi», ma in modo vago: occorre «diversificare», pensare «nuovi prodotti», settimanali o mensili che affrontino nuove tematiche (ad esempio, l’attenzione al creato di papa Francesco, dice Uccellatore, «ci porta, perché no? al rispetto della natura») e, dal momento che «facciamo settimanali e mensili e non quotidiani», il tempo e le risorse e il ritmo di lavoro sarebbero pienamente compatibili con l’attuale circostanza. E con meno di 20 giornalisti che, allo stremo delle forze, si dividono già su più testate contemporaneamente. 

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