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Chiesa, Stati Uniti, Israele: le distanze si acuiscono

Chiesa, Stati Uniti, Israele: le distanze si acuiscono

Tratto da: Adista Notizie n° 19 del 26/05/2018

39376 ROMA-ADISTA. Il massacro del 14 maggio al confine tra Israele e la Striscia di Gaza, nel giorno dell’inaugurazione dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme, i morti del 15, giorno della Nakba, e i ripetuti attacchi dell’esercito israeliano hanno suscitato sgomento e indignazione nella comunità politica internazionale. Anche i vertici della Chiesa cattolica non hanno mancato di fare sentire la loro voce. Al termine dell'udienza generale in piazza San Pietro del 16 maggio, papa Francesco si è dichiarato «molto preoccupato per l’acuirsi delle tensioni in Terra Santa e in Medio Oriente, e per la spirale di violenza che allontana sempre più dalla via della pace, del dialogo e dei negoziati». «Guerra chiama guerra, violenza chiama violenza», ha proseguito, invitando «tutte le parti in causa e la comunità internazionale a rinnovare l’impegno perché prevalgano il dialogo, la giustizia e la pace».

La presidenza del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee) – che già in dicembre era intervenuta contro la decisione dell’amministrazione Trump perché fosse rispettato lo status quo della città di Gerusalemme – ha lanciato un appello a «proteggere la vita ad ogni costo», deplorando «l’ennesima esplosione di odio e di violenza, che sta insanguinando ancora una volta la Terra Santa». In un comunicato, firmato dal card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente del Ccee e dai suoi due vicepresidenti, il card. Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster, e mons. Stanislaw Gadecki, arcivescovo di Poznan, la presidenza del Ccee testimonia «la vicinanza della Chiesa europea e accoglie l’invito contenuto nella nota dell’Amministratore apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme, mons. Pierbattista Pizzaballa, per un tempo di preghiera per la pace in Terra Santa» (previsto per sabato 19 maggio, vigilia di Pentecoste). Nella suddetta nota pubblica Pizzaballa scrive: «La vita di tanti giovani ancora una volta è stata spenta e centinaia di famiglie piangono sui loro cari, morti o feriti. Ancora una volta, come in una sorta di circolo vizioso, siamo costretti a condannare ogni forma di violenza, ogni uso cinico di vite umane e di violenza sproporzionata. Ancora una volta siamo costretti dalle circostanze a chiedere e gridare per la giustizia e la pace! Questi comunicati di condanna ormai si ripetono, simili ogni volta l’uno all’altro».

Misure unilaterali da condannare

Toni analoghi, ma più chiari nell’indicare le responsabilità del governo israeliano, ha il comunicato delle Chiese cattoliche della Terra Santa: «È motivo di grande preoccupazione apprendere che sessanta palestinesi sono stati uccisi ieri e circa 3.000 feriti durante le proteste vicino alla recinzione al confine di Gaza con Israele. Queste perdite, o comunque la maggioranza di esse, potrebbero essere evitate se le forze israeliane usassero strumenti non letali ». I vescovi chiedono a «tutte le parti coinvolte di evitare l’uso della violenza e trovare il modo di porre fine, il prima possibile, all’assedio imposto a circa due milioni di palestinesi nella Striscia di Gaza». A proposito del trasferimento dell’ambasciata, ribadiscono, come già detto in passato, che «qualsiasi mossa/decisione unilaterale sulla città santa di Gerusalemme non contribuisce a far avanzare la tanto attesa pace tra israeliani e palestinesi» e invitano a evitare «misure unilaterali»: «Crediamo che non ci sia nessuno motivo che possa impedire alla città di essere la capitale di Israele e della Palestina, ma ciò dovrebbe avvenire tramite la negoziazione e il rispetto reciproco».

Divisi anche gli israeliani

Rimanendo alle prese di posizione istituzionali, è da segnalare (almeno per il momento) l’imbarazzante silenzio della Conferenza episcopale statunitense. Allargando la prospettiva, è da registrare l’editoriale online di mons. Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax Christi, che scrive: «vediamo violati i diritti del popolo palestinese, e non possiamo sempre sentire la retorica della ragion di Stato»; «Noi come Pax Christi siamo chiamati ad invocare il Dio della pace, ma è anche importante tener desta l’attenzione. Non è possibile che questa situazione vada avanti così! Vediamo che anche all’interno di Israele ci sono molti segnali di persone che non approvano questo massacro: è importante quindi pregare, lavorare per la pace e non tacere».

Tanto interessanti, quanto dure, sono anche le dichiarazioni del 14 maggio (riportate da Agensir.it) di p. Ibrahim Faltas, direttore delle scuole francescane nella Città santa e responsabile per la Custodia di Terra Santa dei rapporti con Israele e palestinesi. «Sono in Terra Santa da 30 anni – afferma Faltas – e non ho mai visto cose del genere, mai tanta rabbia da parte dei palestinesi. Si muore a Gaza, scontri sono in corso a Jenin, Ramallah, Hebron, Betlemme e in altre città della Cisgiordania. Il bilancio delle vittime si aggiorna in continuazione ». Durante la seconda Intifada il padre francescano fu coinvolto nell’assedio della Natività di Betlemme (dal 2 aprile al 10 maggio 2002). «La decisione del presidente Trump di trasferire l’ambasciata Usa a Gerusalemme – prosegue – non solo ha scatenato il risentimento palestinese ma ha anche spaccato la società israeliana. Qui in città ci sono israeliani che esultano ed altri che contestano».

Una mediazione sempre più difficile

Sempre da Agensir.it, veniamo a conoscenza del racconto di p. Mario Da Silva, religioso dell’Istituto del Verbo incarnato e sacerdote della parrocchia latina della “Sacra Famiglia” di Gaza, nel quartiere orientale di Al Zeitoun. «Ho vissuto già due guerre, nel 2012 e nel 2014, – racconta – ma mai mi sono trovato in una situazione drammatica come quella attuale». Il riferimento è alle condizioni drammatiche in cui sono costretti da 11 anni, cioè da quando Hamas ha preso il potere nella Striscia, gli abitanti di Gaza, stretti dal blocco imposto da Israele che costringe la metà di loro, circa un milione di persone, a vivere in povertà e con un tasso di disoccupazione arrivato oltre il 40%. A suo giudizio, pesa sulla vita della Striscia anche lo scontro interno tra il governo di Hamas e l’Autorità nazionale palestinese, che da mesi ormai ha sospeso i pagamenti degli stipendi ai suoi dipendenti pubblici di Gaza. Si tratta, senza dubbio, di una delle motivazioni principali dell’attuale debolezza palestinese di fronte all’offensiva israelo-statunitense. Resta da capire quale sarà il margine di mediazione delle istituzioni religiose e, soprattutto, di una Santa Sede da tempo in rotta di collisione con il presidente americano.

* Barriera della Striscia di Gaza vicino all'incrocio di Karni - Foto di Zero0000 del 2005, tratta da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza

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