
Teologo benedettino: l’ex Sant’Uffizio diventi casa per poveri. Tanto non serve
Tratto da: Adista Notizie n° 24 del 30/06/2018
39422 ROMA-ADISTA. Papa Francesco compia un gesto profetico: trasformi «l’ufficio di polizia» della Chiesa cattolica (ovvero la Congregazione per la Dottrina della Fede) in «uno spazio di accoglienza per i poveri».
A chiederlo è una delle figure più autorevoli del cattolicesimo del nostro tempo, il teologo benedettino p. Ghislain Lafont, che sul suo blog ospitato dal sito della Cittadella editrice (Des moines et des hommes) pubblica la lettera aperta con la sua proposta a papa Francesco: non solo far diventare il palazzo dell’ex Sant’Uffizio una casa per poveri, senzatetto e migranti, ma chiudere la Congregazione, perché non c’è più bisogno di un dicastero che definisca la «verità», che «si trova solo nei regimi totalitari dominati da personalità tiranniche». «Mi sembra che questa nuova destinazione d’uso sarebbe un grande segno dell’orientamento evangelico della Chiesa cattolica – scrive p. Lafont –: una parte della sua sede centrale diventerebbe, come lei dice, un “ospedale da campo” e una tale immagine susciterebbe emulazione in altre chiese, dapprima all’interno della Chiesa Cattolica e poi nelle altre».
La scelta del palazzo che ospita la Congregazione per la Dottrina della Fede – come si chiama solo dai tempi di Paolo VI – non è casuale. Prima, scrive il benedettino, «si chiamava Sant’Uffizio dell’Inquisizione romana. Si parlava anche di Supremo tribunale dell’Inquisizione. Era lì per fermare gli errori prima che diventassero eresie e per giudicare i fautori di queste deviazioni: l’aspetto dottrinale era unito a un aspetto legale con una sfumatura di giurisdizione penale. La Congregazione era, per destinazione, anti-protestante, anti-moderna, anti-ebraica, anti-religioni, antinovità: in una parola “anti” qualsiasi cosa che potesse far deviare la Chiesa da una “verità” considerata come consolidata una volta per tutte e contro la quale i devianti erano facilmente sospettati di malafede e di orgoglio».
Le cose sono un po’ cambiate, «ma forse non così in profondità», rileva p. Lafont, «perché dietro di essa vi è una lunga tradizione filosofica di ispirazione neoplatonica sulla natura, il luogo e i detentori della Verità, come anche una tradizione (cristiana?) sull’uomo come più cattivo che buono, macchiato dal peccato originale e bisognoso di essere ricondotto, anche con la coercizione, alla verità della fede (non oso dire: del Vangelo), dato che l’inferno è più popolato del paradiso e occorre salvare le anime. Ora, un’analisi imparziale dei testi recenti o delle decisioni della Congregazione indubbiamente dimostrerebbe che il genius loci del Palazzo talvolta è purtroppo ancora al lavoro, anche se in forme diverse rispetto al passato».
Quindi, aggiunge il monaco benedettino, «la soppressione di questa Congregazione rappresenterebbe anche un richiamo alle Chiese particolari e alle conferenze episcopali: innanzitutto ad ascoltare davvero tutti i cristiani di queste Chiese, al fine di cogliere il loro senso della fede sul tema in questione, e quindi a sentirsi sinodalmente responsabili della carità, della speranza e della fede che vivono in queste comunità, senza scaricare tutto, più o meno consapevolmente, in caso di difficoltà, sul nunzio apostolico o su una congregazione romana. L’unanimità senza residui non fa parte di un programma umano di deliberazioni: si trova solo nei regimi totalitari dominati da personalità tiranniche. Al contrario, arrivare a una maggioranza qualificata è un successo umano che ha un valore, e adeguarcisi è un atto di saggezza e umiltà. Tanto più che una verità così raggiunta lascia intatto il dovere dell’interpretazione e del discernimento. Se un accordo necessario risultasse davvero impossibile, un inviato del papa (“legato papale”, si diceva una volta) potrebbe giungere per tentare una mediazione».
Credo dunque, conclude p. Lafont, «che oggi non ci sia più bisogno di un dicastero specializzato, tanto più che la Santa Sede dispone di istituzioni dotate di uno spirito aperto, che non intendono definire nulla ma sono alla ricerca di una verità utile: il Pontificio Consiglio per la Cultura, la Commissione teologica internazionale, le Pontificie Accademie… Sarebbe anche un’occasione per dare nuovo valore e forza alle facoltà teologiche che in passato erano normalmente consultate e ora lo sono appena. Al contrario, il mondo e la Chiesa hanno bisogno che, anche all’interno dello Stato simbolico del Vaticano, ci sia un luogo in cui i poveri siano accolti con rispetto ed efficacia e in cui siano ascoltati e compresi».
* Palazzo del Sant'Uffizio (sede della Congregazione per la Dottrina della Fede) in una foto [ritagliata] del 2011 di Jim McIntosh, tratta da Wikimedia Commons, licenza Creative Commons
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