
Don Ciotti illustra la campagna di Libera per i migranti
Riportiamo l’intervista rilasciata da don Luigi Ciotti, presidente di Libera e di Gruppo Abele, a Agensir.it, in cui si illustrano le ragioni dell’iniziativa “una maglietta rossa” per dire No alle “deportazioni indotte” e alle morti nel Mediterraneo.
Qual è il significato di questo gesto?
Indossare la maglietta rossa vuol dire mettersi nei panni di tanti migranti: un appello a fermarci, a smettere di guardarci nello specchio dei nostri problemi per chiederci: che cosa abbiamo fatto della nostra umanità? C’è un deficit di umanità e la via per colmarlo è fatta di relazioni e conoscenza: due strade comunicanti, spesso intrecciate ma oggi poco percorse. C’è inoltre una paura sulla quale dobbiamo interrogarci: la paura del diverso, dello straniero, una tra le più pericolose perché può generare ciò che stiamo toccando con mano in questi giorni: ostilità, aggressività, addirittura, odio. Ma le radici dell’odio risiedono nell’ignoranza: occorre riconoscersi e riconoscere l’altro.
L’immigrazione è una sfida cruciale: è approdata anche qui in Vaticano dove si è parlato di cambiamenti climatici e del loro impatto sulla natura e sul creato.
Sì. Il Papa, in questi giorni, ci ha ricordato che disastri ambientali e disastri sociali non sono diversi: vengono tutti da un’unica crisi: il grido del povero è il grido della terra. Che cosa vogliamo essere: una società aperta, giusta, accogliente o vogliamo diventare una società chiusa, diffidente, animata da paura e aggressività? Da che parte vogliamo stare? In queste giornate una persona ha posto una domanda strategica: “Chi siamo noi per accettare tutto quello che sta venendo sulla faccia della nostra terra?”. Come possiamo restare indifferenti, sia rispetto a quello che succede nel mondo delle migrazioni, sia di fronte alla fatica e alle povertà estreme di tanta gente del nostro Paese? Da 53 anni vivo con i poveri: occorre prendere la parola quando loro muoiono mentre l’Europa gioca a scaricabarile sull’immigrazione, quella stessa Europa che però ha anche diverse colpe: le migrazioni sono in gran parte deportazioni indotte.
Che vuol dire?
Nessuno abbandona terra, casa, affetti se non è costretto da guerre, povertà o disastri ambientali. Di molti di questi conflitti e disastri siamo noi i responsabili. Dobbiamo fermarci, analizzare, denunciare. Nel nostro Paese la gente vive condizioni di difficoltà che la portano a vedere l’altro come un nemico. Servono interventi seri perché 5 milioni di italiani assoluti sono una cifra enorme e i tanti giovani che non studiano e non lavorano sono un grido che deve essere accolto in casa nostra, ma questo non ci autorizza a chiudere le porte a chi bussa per entrare. In Italia c’è bisogno di giustizia sociale, di interventi concreti, ma non dobbiamo dimenticare la storia di molti dei nostri nonni e bisnonni migranti per il mondo. Celebrando il 6 luglio la messa in San Pietro con un gruppo di migranti per ricordare le tragedie del mare, Francesco ha detto parole forti e così chiare alla politica perché si assuma fino in fondo la propria parte di responsabilità, ma ha ammonito anche a noi di non farci complici con il nostro silenzio.
Tonino Bello sosteneva che bisogna alzare la voce quando molti scelgono un prudente silenzio.
Sì, e mai come in questo momento dobbiamo alzare la voce perché viene calpestata la libertà e la dignità di molte persone. L’immigrazione non è un reato perché non può essere un reato la speranza di chi cerca una vita migliore. Papa Francesco invita le nostre comunità a essere aperte, ad andare incontro alle fragilità e alle fatiche. Ma non bisogna limitarsi a risposte emotive: bisogna muoversi.
Anche lei oggi indosserà una maglietta rossa?
L’ho già fatto e la mia foto sta girando sui social. Ho provato un po’ di imbarazzo, ma poi mi sono detto: deve essere un segno. E infatti stanno arrivando alle redazioni di tv e giornali foto di persone o di gruppi e associazioni scattate in tutta Italia: da Marsala ai quasi 3mila metri del rifugio Chivasso sul Gran Paradiso. Oggi tuttavia non basta più indignarsi, anche l’indignazione è diventata di moda. Bisogna provare un senso di disgusto – e il disgusto è l’ultima risorsa dell’intelligenza umana – per quanto sta accadendo. Non si può giocare sulla pelle della gente, né la gente di casa nostra né chi viene a cercare dignità, lavoro, pace. A problemi globali si risponde con soluzioni globali. Come ricorda il Papa siamo tutti membri della stessa famiglia umana.
foto tratta da Agensir.it,
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