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Il prete, la chiesa, la fede, sono cambiati in fabbrica

Il prete, la chiesa, la fede, sono cambiati in fabbrica

Proponiamo un'anticipazione di un articolo in uscita per la rivista "Il foglio" di settembre.

 

La morte di Carlo Carlevaris, e prima quella di Toni Revelli, di Gianni Fabris, e il prossimo decennale della morte di Carlo Demichelis, ed altre figure analoghe,  come Bernardino Pozzi (che fu redattore del foglio), hanno già suscitato non solo vivi ricordi, ma anche opportune riflessioni sul fenomeno dei preti operai, degli ambienti ecclesiali a loro vicini, e della fede cristiana vissuta in queste esperienze. Quell'insieme di ricerche e di esperienze ha cambiato la figura del prete, le comunità cristiane, la fede stessa.

1 - Il prete operaio è un prete rientrato nel popolo. Anche l'antico parroco di campagna era nel popolo, ma ne era pure a lato, superiore per condizione di vita, per autorità anche sociale, senza famiglia propria, viveva dell'altare e non del suo lavoro, differenza decisiva. Ancora di più il prete di città. Naturalmente, con le eccezioni.

Il prete operaio è uscito da quella separatezza, si è confuso con i lavoratori, si è fatto «uno di loro» (Charles De Foucauld), ha scelto la classe povera di allora, anche le sue lotte di solidarietà e giustizia, spesso con una consapevolezza più chiara della causa comune, spesso criticato dalla chiesa ufficiale come per una contaminazione del sacro col mondo, e in pericolo di contagio marxista…  Quel tarlo dell'individualismo, emerso poi come causa della crisi della sinistra, corrotta dal liberismo, era già visto dai preti operai, per la loro sensibilità morale: essi contribuirono quanto poterono a tener vivo un filone di pensiero-azione per la giustizia, perciò anche per gli ultimi più ultimi, privi di forza organizzata.

Il prete operaio si è declericalizzato. L'abito e l'aura del “separato” scompariva dalla sua persona. Toni Revelli, che sapeva ridicolizzare le nullità, chiamava la talare “la maxi-gonna”. Spesso i compagni ignoravano che quell'operaio fosse un prete, e lo scoprivano col tempo in quel compagno di fatica, nel rapporto personale, non per un titolo sacro sopra di lui. Così il prete operaio ha contribuito, anche consapevolmente, alla demolizione del “clero sacro”, istanza evangelica sollevata nel Concilio, anche se poco riconosciuta nella successiva pratica ecclesiastica,  fino a ritorni recenti di clericalismo. I preti operai hanno contribuito molto a ricondurre il ministero presbiterale nel corpo vivo del “popolo di Dio”, che è tutto profetico, sacerdotale, regale. Questo loro contributo deve rimanere. Non andarono in fabbrica a fare manovre di proselitismo o di alleanza politica, ma a vivere la vocazione cristiana nella umanità comune, la più affaticata e scartata. Si verificò anche tra loro il vasto fenomeno dei presbiteri che tornavano laici, ma non fu il fatto dominante tra i preti operai.   

2 – Diceva Carlo  Carlevaris che, quando era giovane, il “deposito della fede” gli riempiva un pesante zaino da portare sulle spalle, e che ora, invece, gli stava tutto in un taschino della tuta. Verissima e bella immagine. Il Concilio, la teologia, raccogliendo anche l'esperienza viva dei cristiani comuni (vedi Dei Verbum, n. 8), hanno  individuato una “gerarchia delle verità” (Unitatis Redintegratio sull'ecumenismo, n. 11), cioè la distinzione tra verità primarie e secondarie (distinzione condannata da Pio XI nella Mortalium animos). Questa gradazione di centralità delle verità di fede non è solo per la pace e l'intesa coi cristiani non cattolici, ma è proprio in relazione «al loro diverso nesso col fondamento della fede», cioè con Cristo. L'esperienza dei preti operai, come quella di tanti cristiani laici, vede che la sostanza evangelica è un modo di essere, non un rito, è un tipo di relazioni fraterne col prossimo, non una morale codificata minuziosamente (e ossessivamente), è una fiducia nella salvezza di Dio per tutta l'umanità, ben oltre confini e barriere ecclesiastiche, è una speranza nell'amore misericordioso che annulla i calcoli sul merito e sul premio, nella piccola ragioneria di giorni e mesi di purgatorio, di indulgenze come sconti al supermercato. Oggi ci fanno pena quelle manie religiose, ma erano la tassa che tante buone persone dovevano pagare per sentirsi in pace con Dio. La laicità seria della fede messa alla prova della secolarizzazione, ci ha salvato da una religione senza fede, o con poca fede.  In quella prova anche i preti operai hanno avuto una parte caratteristica, insieme ai laici più spirituali, Ma questo cammino di liberazione non è finito, e ha persino delle ricadute all'indietro.

Insomma, i preti operai hanno lavorato per la dignità umana, da consapevoli e grati figli di Dio, non solo nella società, ma nella chiesa stessa. La fatica quotidiana, la solidarietà, sanno anche purificare la fede, fanno riconoscere come davvero Dio guarda e cerca i suoi figli, fuori dagli orpelli teorici e rituali di cui gli scribi riempiono zaini sulle spalle dei poveri, e stanno a guardare, e a giudicare.

foto di Anton Osolev, tratta da Flickr, licenza

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