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Sud Sudan: pace firmata. Ma ancora tutta da costruire

Sud Sudan: pace firmata. Ma ancora tutta da costruire

Tratto da: Adista Notizie n° 33 del 29/09/2018

39511 ADDIS ABEBA-ADISTA. È finalmente arrivata la firma ufficiale sull'accordo di pace che dovrebbe mettere fine a 5 anni di guerra civile in Sud Sudan, i cui frutti amari si contano in 50mila morti, 2 milioni e mezzo di emigrati e oltre 2 milioni di sfollati interni suddivisi nei campi profughi allestiti dall'Onu, su una popolazione complessiva di nemmeno 12 milioni di abitanti. Le fazioni rivali, guidate rispettivamente del presidente Salva Kiir e dall'ex vicepresidente e capo dei ribelli Riek Machar, si sono strette la mano lo scorso 12 settembre ad Addis Abeba, a un paio di settimane dalla faticosa intesa raggiunta grazie alla mediazione del Sudan di al-Bashir e all'intervento chiave di altre diplomazie (in particolare di Stati Uniti, Norvegia e Regno Unito che hanno finanziato il processo di pace). I termini dell'accordo prevedono un primo step preliminare di otto mesi che prevede la condivisione dei poteri (tra l'altro Machar tornerà ad essere vicepresidente) e che porterà alla vera fase di transizione della durata di tre anni. L'obiettivo della transizione è ritrovare l'unità perduta e ricomporre l'ossatura istituzionale dello Stato, oggi allo sbando, prima di celebrare regolari elezioni nel 2022. Tra le principali e più preoccupanti sfide, l'accorpamento delle milizie ufficiali e ribelli in un unico esercito e la definizione dei confini degli Stati federali su base etnica e tribale.

Quanto durerà?

Il precedente accordo di pace, fortemente voluto dalle Nazioni Unite, risale al 2015, e già allora aveva condotto alla formazione di un nuovo governo di unità nazionale. Che era saltato appena tre mesi dopo, a causa del riacutizzarsi degli scontri e alla fuga di Machar all'estero. Non sono pochi gli osservatori convinti che anche questo accordo di pace rischia di naufragare presto, per via dei forti interessi in campo e della difficoltà di controllare un territorio in balia di milizie armate accecate dall'odio etnico. Solo due giorni dopo la firma di Addis Abeba, tra l'altro, un commando ha attaccato alcune basi dei ribelli in Equatoria Centrale. Subito sono partite dure accuse contro le truppe governative, le quali però hanno negato la propria responsabilità, rimpallando la colpa dell'aggressione su altri gruppi ribelli.

«Indicibile brutalità»

Sempre a settembre è stata diffusa la notizia dell'inchiesta condotta da Amnesty International su un centinaio di testimonianze di sfollati dello Stato sudsudanese di Unità, scampati all'offensiva dell'esercito governativo contro un paio di contee, tra aprile e luglio. Il dossier dell'ong denuncia «una brutalità sbalorditiva, con civili uccisi deliberatamente, bruciati vivi, impiccati sugli alberi e investiti con veicoli blindati» (Askanews, 19/9). Il rapporto ha anche parlato della «violenza sessuale sistematica» sulle donne e sulle bambine, del rapimento e dell'abuso di giovani ragazze delle zone interessate dagli attacchi.

Onu: cauto ottimismo

Eppure, sull'intesa raggiunta il 12 settembre, sotto l'egida dell'Igad (l'Autorità Intergovernativa per lo Sviluppo formata dagli Stati del Corno d'Africa), sembra aleggiare un certo – seppur cauto – ottimismo. Soddisfatto il governo, che attraverso il portavoce Ateny Wek Ateny parla di un «final final deal» che accontenta tutti, Kiir, Machar e le altre opposizioni.

L'Onu, attraverso una nota del 17 settembre dell'Alto Commissariato per i Rifugiati, ha salutato con favore l'accordo, ritenendolo «un passo fondamentale verso un cessate il fuoco permanente e una pace duratura per milioni di sudsudanesi nella morsa del conflitto» e chiedendo, al contempo, rispetto e responsabilità alle parti in causa.

La firma dell'accordo rappresenta «solo un passo sulla via della pace», ma un passo importante «che getta le basi per tutto ciò che dovrà seguire», ha riferito il capo missione Onu in Sud Sudan, David Shearer (Cisa, 14/9).

Coincidenze “miracolose”?

Secondo il vescovo di Tombura-Yambio e presidente degli episcopati di Sudan e Sud Sudan, mons. Edward Hiiboro Kussala, l'accordo di pace è un «miracolo», arrivato proprio durante la visita ad limina dei prelati africani a Roma e, soprattutto, dopo l'incontro del 3 settembre con papa Francesco, il quale aveva assicurato loro preghiera e sostegno.

Nel messaggio pubblicato al ritorno dalla visita, e diffuso dall'Agenzia Fides il 20 settembre, mons. Hiiboro Kussala ha ribadito che «il Santo Padre, dal giorno in cui è scoppiata una delle più lunghe e insensate guerre, non ha mai smesso di pregare, di lanciare appelli e di lavorare per porre fine al conflitto nel Sud Sudan. Se l’accordo di pace è stato firmato mentre eravamo sotto il suo amore paterno, possiamo ben dire che questo è un miracolo!».

Il prelato stempera però i suoi stessi entusiasmi esprimendo, come già prima della firma di Addis Abeba (v. Adista Notizie n. 31/18), alcune perplessità: preoccupa «una certa mancanza di trasparenza e l’esclusione di altre parti interessate dal processo», ha denunciato a Fides chiedendo, al contempo, «a tutte le parti di astenersi dall’uso di un linguaggio incendiario e intimidatorio. Le parti in conflitto dovrebbero dimostrare con le loro azioni e con le parole che si impegnano per la pace». 

* Il presidente del Sud Sudan Salva Kiir Mayardit in una foto [ritagliata] del 2014 del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d'America, tratta da it.m.wikipedia.org, immagine originale e licenza

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