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L'Europa

L'Europa "libera e unita" nasce a Ventotene

Pubblichiamo il testo dell'editoriale sull'Europa firmato il 2 aprile scorso da Giancarla Codrignani, giornalista e saggista, ex parlamentare della Sinistra Indipendente, socia fondatrice e membro del Consiglio direttivo di Viandanti, sul sito della rete dei Viandanti.

L'articolo nella sua versione originale può essere consultato a questo link

 

 

 

L’isola vulcanica dell’arcipelago pontino, oggi luogo di tranquillo turismo, è grande tanto da contenere più o meno 700 abitanti. Gli imperatori romani vi relegarono donne scomode, Giulia figlia di Augusto, Agrippina moglie di Germanico, Ottavia moglie di Nerone. Alla fine degli anni Trenta del secolo scorso il fascismo ci spedì al confino, uno dopo l’altro, circa 900 antifascisti.

Una “Carta” per la libertà

I giovani – ma non solo i giovani – non sanno più che ottant’anni fa gli italiani, già da vent’anni, accettavano che, per aver espresso un’opinione non conforme al governo, gente perbene finisse al confino o in carcere o magari ammazzata.

E nessuno ricorda se si è emozionato quando, nel 2016, su invito del governo italiano, i presidenti di Francia e Germania hanno celebrato il luogo dove è nata l’Europa moderna, davanti alla tomba di Altiero Spinelli, dove rievocarono i pochi italiani dalla schiena dritta che, pur relegati a Ventotene, nel 1941, nel pieno di una guerra – la seconda “mondiale” del secolo XX – che fu il prezzo che il mondo pagò per porre fine a regimi disumani - non sapevano che sarebbe costata milioni di vite, anche di stranieri disposti a morire per liberare il mondo dalla minaccia del fascismo e del nazismo – si permisero il lusso di progettare l’Europa dei diritti e delle libertà, che non siamo ancora stati capaci di realizzare, per mancanza di una coscienza altrettanto coerente dell’ovvietà del loro progetto.

Il “Manifesto per un’Europa libera e unita”, conosciuto con il nome di Carta di Ventotene  resta il documento fondamentale di un’Europa federalista in cui i paesi del continente – che da sempre si era fatto guerra al proprio interno – avrebbero deciso di vivere un futuro garantito da qualunque paura di dittature e di guerre.

Un progetto visionario e concreto

La prima redazione, siglata ‘agosto 1941′, riconosce che “La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della liberta?, secondo il quale l’uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita. Con questo codice alla mano si e? venuto imbastendo un grandioso processo storico a tutti gli aspetti della vita sociale che non lo rispettino“.

I principi fondativi stabilivano, dunque, l’indipendenza degli Stati all’interno di un’entità federata, estranea ad ogni possibile volontà di dominio nazionalista, sicura nel comune riconoscimento dei diritti civili e politici dei cittadini che la abitano e pronta a riformare i poteri che avevano tenuto sottomesse le classi lavoratrici.

Non erano illusi e sapevano che, finita la guerra, la reazione si sarebbe ripresentata per conservare la supremazia: “si proclameranno amanti della pace, della liberta?, del benessere generale delle classi piu? povere… (per) restaurare lo Stato nazionale”.

L’attenzione sarebbe dovuta andare subito alle situazioni destinate ad essere problematiche per il continente (i Balcani, l’Irlanda..) e alla “struttura” dell’economia, che doveva essere ricostruita su impianto socialista e garantire la democrazia da possibili svolte totalitarie; si sarebbe data priorità alla riforma agraria, al ridimensionamento della proprietà privata (nel rispetto del pluralismo), alla scuola pubblica, alla giustizia, alla libertà di stampa e di opinione, ai rapporti con la Chiesa (ma con l’abolizione del Concordato fascista), tenendo presente che si possono verificare imprevisti politici o focolai di violenza da controllare, senza cedere al settarismo e al totalitarismo comunista, ma favorendo il buon funzionamento delle istituzioni democratiche, finalmente libere.

Federarsi per una cooperazione pacifica tra i popoli

“Oggi e? il momento in cui bisogna saper gettare via vecchi fardelli divenuti ingombranti, tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge cosi? diverso da tutto quello che si era immaginato, scartare gli inetti fra i vecchi e suscitare nuove energie tra i giovani. Oggi si cercano e si incontrano, cominciando a tessere la trama del futuro, coloro che hanno scorto i motivi dell’attuale crisi della civiltà europea, e che perciò raccolgono l’eredita? di tutti i movimenti di elevazione dell’umanità, naufragati per incomprensione del fine da raggiungere o dei mezzi come raggiungerlo. La via da percorrere non e? facile ne? sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà“.

Profeticamente annunciavano che quando “superando l’orizzonte del vecchio continente, si abbracci in una visione di insieme tutti i popoli che costituiscono l’umanità, bisogna pur riconoscere che la federazione europea è l’unica garanzia concepibile che i rapporti con i popoli asiatici e americani possano svolgersi su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire, in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo“.

Oggi, in questo 2019, l’entusiasmo di Ventotene può apparire eccessivo. Ma credere che un fine sia giusto prescinde dai tempi della sua realizzazione: gli autori della “Carta” erano consapevoli che il protrarsi della guerra, l’invasione tedesca, la lotta di liberazione avrebbero preparato tempi difficili.

Finito il confino subito all’opera

Intanto, usciti dal confino dopo la caduta di Mussolini, si erano dispersi su diversi fronti: nel 1944 Eugenio Colorni, ignaro che pochi giorni prima della liberazione di Roma una frangia in fuga della banda Kock l’avrebbe sorpreso e ucciso, scriveva: “I presenti scritti sono stati concepiti e redatti nell’isola di Ventotene, negli anni 1941 e 1942. In quell’ambiente d’eccezione, fra le maglie di una rigidissima disciplina, attraverso un’informazione che con mille accorgimenti si cercava di rendere il più possibile completa, nella tristezza dell’inerzia forzata e nell’ansia della prossima liberazione, andava maturando in alcune menti un processo di ripensamento di tutti i problemi che avevano costituito il motivo stesso dell’azione compiuta e delle scelte fatte mentre lottavano”.

Che bisognasse incominciare subito a tessere la tela federalista non appena finita la guerra e tornata la democrazia lo pensava Altiero Spinelli, l’uomo che per tutta la vita avrebbe continuato a lavorare per costruire l’Europa politica che ancora ci manca. Gli altri, i protagonisti delle discussioni di Ventotene, dopo le lotte antifasciste e la resistenza erano impegnati nelle responsabilità dei partiti. Restava Ernesto Rossi, sodale di Salvemini e Rosselli, autore di “Non mollare”, che nel ’37, scrivendo alla madre dal carcere, le parlava degli “Stati Uniti d’Europa”: dopo essersi fatto anche lui nove anni di carcere e quattro di confino, diventò una delle penne più caustiche della Repubblica.

C’era anche una donna

Restava soprattutto Ursula Hirshman, che, quando andava a trovare a Ventotene il marito Eugenio Colorni, collaborava alla Carta e riportava agli antifascisti milanesi idee e messaggi; e, siccome dalla comunanza di intenti era nato un serissimo impegno di vita non solo politica, fu la più importante collaboratrice di Altiero Spinelli. Che nel marzo del ’45 era già a Parigi per la prima conferenza federalista europea, a cui parteciparono anche Camus, Orwell e Mounier, che non erano ancora i grandi autori che continuiamo a leggere.

Nel corso degli anni non ci fu istituzione finalizzata a dare corpo alla federazione europea a cui Spinelli non desse l’appoggio e il contributo; sostenne perfino la Ced – la prima istituzione “europea” pensata in piena guerra fredda come scudo antisovietico, prima che la Francia la bocciasse – e la Ceca, la Comunità del carbone e dell’acciaio. Il Pci, che lo aveva espulso nel ’37 come trotzkista, nel 1976 lo elesse nel gruppo degli indipendenti nel Parlamento italiano e, nel 1979, nel primo Parlamento europeo.

Finalmente. Iniziava l’ultima, forse la più costosa fatica: vivere da vicino la lentezza dei processi di un Parlamento che contava meno del Consiglio dei Capi di Stato e di Governo, che aveva (e ha) di fatto il potere decisionale (e, se non trova intese al suo interno, rinvia).

Una tessitura paziente che ha costruito pace

Altiero Spinelli, costantemente teso a realizzare la strategia federale che aveva ben chiara nella mente, dovette innumerevoli volte frenare l’impazienza e vedere sfilacciarsi la tessitura e il telaio bloccare la trama. Quando passava da Montecitorio era furioso, anche perché le forze politiche italiane e la stessa sinistra non erano così pronte a sostenere l’istituzione europea; ma se la persona a cui raccontava le difficoltà di Bruxelles si inquietava più di lui, frenava la rabbia e ricordava, probabilmente anche a se stesso, che bisogna sempre ricominciare a tessere. Pazientemente.

Oggi il simbolo dell’Europa rappresenta, almeno teoricamente, tutto quello che la Carta di Ventotene rappresenta nei termini di una continuità paziente e sofferta; e anche impaziente.

Lo dice il Presidente francese Macron: l’Europa (è) un successo storico: la riconciliazione di un continente devastato, in un inedito progetto di pace, di prosperità e di libertà. Una necessità della storia. Bisogna ricordare che già nel 1868 gli amici della Lega per la Pace e la Libertà avevano capito che solo l’unione tra i paesi europei avrebbe posto fine ai conflitti: in quell’anno fondarono la rivista Les Etats Unis d’Europe che uscì fino al 1939, quando il ritorno della guerra segnò la loro (temporanea) sconfitta.

Noi, che siamo consapevoli di essere europei, prima che italiani, spagnoli, ciprioti o lussemburghesi, godiamo per la prima volta, dopo una continuità secolare di guerre tra europei, di quasi settantacinque anni di pace. Non è tutto Ventotene, ma non è poco.

 

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