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È morto p. Eugenio Melandri, religioso di frontiera

È morto p. Eugenio Melandri, religioso di frontiera

BOLOGNA-ADISTA. È morto, dopo una lunga e dolorosa malattia, nella mattinata del 27 ottobre il religioso saveriano p. Eugenio Melandri, che poco più di un mese fa era stato incardinato nella diocesi di Bologna, per decisione del card. Matteo Zuppi, arcivescovo della città, dopo che la Congregazione per il clero, presieduta dal card. Beniamino Stella, aveva annullato la sanzione canonica della sospensione a divinis.

Classe 1948, Eugenio Melandri nel 1974 entra nei Missionari Saveriani (Pia Società di San Francesco Saverio per le Missioni estere). Molto impegnato sui temi della pace, del disarmo, della solidarietà internazionale, Melandri diventa nel 1980 direttore del mensile dei saveriani, Missione Oggi.

In quegli anni la rivista, dopo essersi prevalentemente occupata della Cina, prima missione dei saveriani, e in seguito di teologia missionaria, aveva cominciato ad accompagnare lo sviluppo del dibattito postconciliare, dentro e fuori la congregazione saveriana, a partire soprattutto dalle questioni sociali ed economiche e dalle istanze dei popoli e dei continenti del Sud del Mondo. In questo contesto, Melandri arriva nel periodo clou dell’impegno del movimento missionario e pacifista contro l'installazione dei missili di Comiso, che si saldava a quello di larga parte della sinistra di movimento e del Pci. Melandri, che di quella stagione di lotta era tra i principali animatori, lanciò una campagna per il disarmo unilaterale a cui aderirono personalità come p. David Maria Turoldo. Successivamente, Missione Oggi dedicò un numero monografico al Nicaragua sandinista, denunciò la gestione fatta dal governo italiano dei fondi destinati alla cooperazione, si schierò pubblicamente a fianco dei partiti della sinistra, attestandosi così su posizioni più militanti rispetto a quelle di altre testate religiose, affiancata in questo dal mensile dei missionari comboniani Nigrizia, allora diretto da padre p. Alex Zanotelli. Una linea che non piaceva ai partiti di governo, in primis la Dc, e nemmeno al Vaticano e – di riflesso – nemmeno ai vertici della congregazione saveriana. Nel novembre 1988 la tensione raggiunse l’apice: l’allora prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, card. Jozef Tomko (che aveva già ottenuto le dimissioni di Zanotelli da Nigrizia), riuscì a far dimettere Melandri e – nel corso dei mesi successivi – fece in modo che la testata assumesse un taglio più “intraecclesiale” e di “animazione” pastorale, abbandonando i temi “scottanti” dell’attualità politica ed ecclesiale. Il vecchio gruppo redazionale lasciò la rivista, denunciando – come scrisse Aluisi Tosolini, allora condirettore del mensile – «il fallimento e la normalizzazione di una di quelle poche esperienze di collaborazione a livello paritetico tra laici e religiosi, in cui il laico non fosse soltanto il portinaio o il benefattore».

È in questo scenario che arriva anche la sospensione a divinis di Eugenio Melandri. Estromesso dalla rivista, emarginato dalla sua congregazione, Melandri accetta la candidatura alle elezioni europee del 18 giugno 1989 per le liste di Democrazia proletaria. Viene eletto deputato e sospeso dal ministero sacerdotale. L’accusa, quella di aver violato il canone 285 del Diritto Canonico che vieta ai chierici «di assumere uffici pubblici che comportano una partecipazione all' esercizio del potere civile». A Melandri fu impedito di amministrare i sacramenti e di portare l'abito ecclesiastico. In realtà, il procedimento canonico nei suoi confronti era partito prima dell’elezione, ossia all’atto della candidatura, nel maggio di quell’anno; e non dopo. Alla sospensione a divinis si aggiungeva poi la privazione della voce attiva e passiva all'interno dell'Istituto saveriano, per non aver obbedito al suo superiore generale, che – su pressione del Vaticano – gli aveva appunto vietato di candidarsi.

Un mese fa la revoca di quella sanzione e la “prima” celebrazione della messa da parte di Melandri. Ed ora la morte

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