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Non abbiamo speranza al di fuori della nostra terra. Intervista a Leila Rocha

Non abbiamo speranza al di fuori della nostra terra. Intervista a Leila Rocha

Tratto da: Adista Documenti n° 39 del 16/11/2019

Per l'introduzione a questo articolo, clicca qui

Cosa ha significato per te il Sinodo per l'Amazzonia?

È stato un'occasione per chiedere aiuto, perché in Brasile abbiamo combattuto tanto, ma la nostra lotta non ha prodotto alcun risultato. Sono stata molto felice di questo invito, anche perché ho potuto avvicinarmi al papa, prendergli la mano e chiedergli di benedire il mio popolo in Mato Grosso do Sul, perché tutto è molto difficile per noi. Abbiamo bisogno dell'aiuto di altri popoli, perché non vogliamo più veder soffrire il nostro. Non vogliamo che ci siano altri morti.

Qual è ora la situazione nel Mato Grosso do Sul?

È molto grave. I fazendeiros hanno invaso le nostre terre tradizionali, piantando soia, canna da zucchero, grano. Su di noi incombe la minaccia dell'approvazione della Pec 215 (la Proposta di emendamento costituzionale mirata a trasferire al Congresso il diritto di demarcare le terre indigene, ndr), della legge per l'affitto delle aree indigene (la Pec 187, che darebbe il via libera all'affitto delle terre tradizionali per l'allevamento del bestiame e la coltivazione di soia, canna da zucchero, eucalipto, ndr), della tesi del "quadro temporale", che in Mato Grosso do Sul viene utilizzata per cacciare gli indigeni dalle loro terre tradizionali e per frenare il processo di demarcazione. Vi sono addirittura territori la cui demarcazione è stata annullata proprio in base alla tesi del marco temporal. La mia terra, alla frontiera con il Paraguay, è stata demarcata nel 2005 ma non è stata ancora omologata e tutto il processo è fermo. E ora non viene più riconosciuta come un'area indigena.

Le condizioni sono peggiorate sotto il governo Bolsonaro?

Per noi non è mai stato facile, ma con questo governo la situazione è diventata ancora più grave. Bolsonaro non vuole sapere nulla degli indigeni. Prima ricevevamo almeno il sostegno della Funai (Fondazione nazionale dell'indio, l'organo indigenista ufficiale dello Stato brasiliano, ndr), ma ora Bolsonaro ha rimosso tutto il personale che ci appoggiava. Non abbiamo più nemmeno un medico, essendo stato il personale sanitario trasferito in un municipio a sessanta chilometri di distanza. E non possiamo nemmeno più contare sulle nostre medicine tradizionali, perché i fazendeiros hanno distrutto tutto. E così muoiono moltissimi bambini e neonati.

Cosa rappresenta la terra per il vostro popolo?

La terra è una madre che si prende cura di noi, come noi ci prendiamo cura di essa. Ma ora la foresta viene abbattuta e i fiumi sono contaminati. I pesticidi irrorati dagli aerei cadono nelle nostre comunità, dove i bambini soffrono di vomito, mal di testa e dissenteria. Non abbiamo più nulla. E non abbiamo speranze al di fuori della nostra terra. Non possiamo andare da un'altra parte, non possiamo andare in città. Noi non siamo fatti per la città. Sono già 25 anni che lottiamo per la nostra terra. Siamo stati espulsi e siamo tornati, siamo stati espulsi di nuovo e siamo tornati di nuovo. Dopo lo sgombero che abbiamo sofferto nel 2003 abbiamo dovuto aspettare 10 anni. È da sei 6 anni che stiamo lì. Ma la terra è invasa dai bianchi, secondo i quali saremmo noi gli invasori. I veri invasori, i fazendeiros, coltivano e allevano il bestiame, mentre noi non abbiamo più nulla. Eppure la terra è nostra, per questo siamo tornati. Se non appartenesse a noi, non vi avremmo mai fatto ritorno. Noi la conosciamo bene, perché è la terra in cui riposano i nostri antenati. Quella terra è nostra, è lì che vogliamo vivere con i nostri bambini, con la nostra famiglia. È lì che vogliamo piantare, raccogliere i prodotti della foresta e vivere senza preoccupazioni.

L'ultimo rapporto del Cimi evidenzia anche livelli crescenti di violenza...

Dal 1983 sono stati uccisi almeno 360 leader indigeni. Quell'anno è stato assassinato il nostro grande leader Marçal de Souza. Da allora non si sono più fermati. A volte il corpo delle vittime non viene nemmeno ritrovato, come nel caso dell'omicidio, nel 2011, di Nísio Gomes: gli assassini gli hanno sparato davanti agli occhi del figlio e si sono portati via il corpo. Come pure non è stato mai ritrovato quello del professore Rolindo Vera, ucciso insieme al fratello Genivaldo, anche lui professore, in un attacco dei pistoleiros. In Mato Grosso do Sul i nostri leader vengono uccisi e i responsabili non vengono mai arrestati e puniti.  

Johann Moritz Rugendas - Centro de Documentação D. João VI

* Johann Moritz Rugendas, Combattimento tra militari e indigeni (incisione del 1820 ca.), fonte Centro de Documentação D. João VI - foto [ritagliata] tratta da wikimedia commons, immagine originale e licenza

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