
Il cardinale Zuppi intervistato dal "manifesto" sui movimenti popolari
È uscita oggi sul quotidiano Il manifesto una lunga intervista al card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna. La conversazione è incentrata sulle grandi questioni politiche sollevate dall’ultima lettera di papa Francesco ai movimenti popolari, ma affronta diversi altri grandi temi legati alla crisi pandemica che stiamo attraversando. Ne riportiamo tre estratti, a nostro giudizio, particolarmente significativi in materia di reddito, migrazioni e azione dal basso dei movimenti:
D. Cardinale, si può parlare di un aggiornamento della dottrina sul lavoro?
R. Nella sua lettera il papa ha in mente l’azione dei movimenti popolari e il problema dei lavoratori “informali”, senza garanzie, eppure fondamentali, soprattutto nel contesto latinoamericano. Il principio da cui muove il pontefice è che nessun lavoratore deve rimanere senza diritti. È chiaro che in questa prospettiva la quarantena, che è già insostenibile per chi vive in condizioni di precarietà e non ha tutele legali, diventa del tutto inaccettabile nella ricerca di una società più giusta. Ecco allora che il salario universale può essere una soluzione. Chiaramente, bisogna valutare caso per caso la sua sostenibilità e questo è compito della politica. Certo, anche qui in Italia stiamo vivendo una fase emergenziale e sono davvero troppi i lavoratori senza un reddito, senza altri strumenti di sostegno e che sono in grandi difficoltà a causa della pandemia.
D. Seguendo il ragionamento per cui gli effetti della pandemia, dalla prevenzione sanitaria alle conseguenze economiche, non sono certo gli stessi per tutti, i migranti appaiono tra i soggetti più fragili in questo momento. Nella sua Roma, per esempio, sono tutt’ora in corso alcune gravi emergenze sociali: dal Selam Palace alla Romanina al Centro di accoglienza di Torre Maura. In questo contesto, nel segno della difesa della “salute pubblica”, il governo ha deciso di tornare a chiudere i porti. Come valuta questa decisione?
R. La vera sfida è affrontare la questione delle migrazioni nella sua complessità. Se non viene vissuta in tutti i suoi aspetti allora diventa un problema sociale per tutti. Nessuno deve essere lasciato morire in mare e questo è tanto evidente quanto indiscutibile. Dal punto di vista pratico, si tratta di capire come garantire la sicurezza dei migranti, e di conseguenza anche quella di tutti, attraverso strumenti di quarantena idonei: una soluzione che mi sembra sia stata trovata. Inoltre, ci dobbiamo interrogare su come fare emergere il mondo dei profughi che già vive in Italia, e che difficilmente lascerà che lo teniamo nel limbo. Ma il limbo non dura a lungo e ha anche un prezzo.
È intelligente la proposta della regolarizzazione, perché guarda al futuro. Occorre parlarne con realismo e senza ideologie.
Torniamo ai movimenti popolari. L’incontro del 2016 si era concluso con il progetto di proseguire l’esperienza senza la cornice offerta dalla presenza del papa. Nel suo ultimo intervento Bergoglio suggerisce che per uscire dalla crisi è necessaria l’azione dal basso dei soggetti sociali. Quale futuro auspica e immagina per la rete mondiale?
Il papa non compie una scelta politica scrivendo ai movimenti, ma vede in essi un agente sociale che opera dal basso, un’altra forma di politica, fuori dagli schemi, che va nella direzione di una conversione umanistica ed ecologica alternativa al dominio del denaro. Bergoglio riconosce che i movimenti sono in questo processo interlocutori indispensabili e li invita a proseguire.
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