
Il campo di Moria brucia: appello delle missionarie scalabriniane all'Europa
Le fiamme hanno devastato baracche e capanne del campo profughi di Moria, il più grande d’Europa, situato sull’isola greca di Lesbo vicino al confine con la Turchia. Una tragedia annunciata, che ha costretto migliaia di rifugiati ad abbandonare il campo e a perdere una seppur minima protezione.
Dopo la denuncia di Oxfam – «la tragedia di Lesbo è il simbolo del fallimento dell’Europa» – tornano sull’argomento anche le Suore missionarie di San Carlo Borromeo (scalabriniane), che a Lesbo hanno inviato da tempo quattro consorelle, con un appello simile: «L'Europa non sia cieca, i profughi sono detenuti per il reato di speranza».
«L'incendio al campo profughi di Moria a Lesbo – ha dichiarato ieri suor Neusa de Fatima Mariano, superiora generale delle Scalabriniane – conferma ancora una volta come gli Stati di tutta Europa non possono essere ciechi davanti a una crisi dettata dal voler voltare le spalle a chi chiede aiuto. Non possiamo essere sordi nei riguardi di persone che stanno vivendo ben oltre il limite della sopravvivenza. Quella dei migranti di Moria è una “non vita” perché sono in condizioni inumane, come se fossero “detenuti” per il reato di speranza». «Ci uniamo per l'ennesima volta ai tanti appelli di Papa Francesco per voler trovare una soluzione cristiana, in grado di dare ai tanti profughi, volti di Cristo, la possibilità di vivere davvero in un mondo giusto, equo, che possa permettere loro di sentirsi sicuri».
* Un'immagine del campo di Moria di Cathsign, tratta da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza.
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