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Presentazione

Presentazione

Tratto da: Adista Documenti n° 33 del 25/09/2020

Era da tempo che sentivamo l’esigenza di affrontare il tema della parrocchia e delle sue prospettive in una società sempre più secolarizzata e dove sempre meno significativo e centrale per la vita di comunità e quartieri appare la presenza dei campanili, che tradizionalmente hanno scandito vita, tempi, il paesaggio urbano stesso d’Italia, in ogni zona del nostro Paese. Questa esigenza è diventata urgenza a fine luglio, quando la Congregazione per il Clero ha pubblicato una Istruzione sulla conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa.

Il testo vaticano è diviso in due parti: una di “ecclesiologia della parrocchia”; l’altra, molto tecnica e giuridica. Se la prima ha tratti di maggiore libertà e profezia, perché dà voce all’inquietudine e cerca, attraverso la strada del dialogo e della collaborazione anche con la società laica, nuove strade e nuove possibilità, la seconda parte dell’Istruzione sembra limitare ogni orizzonte all’esistente, ridimensionando di molto le aperture se non per dettagli poco rilevanti (le offerte delle messe o la possibilità per i laici di presiedere alcune funzioni, peraltro in linea con quanto già prevede la dottrina cattolica).

Certo, il testo della Congregazione per il Clero è rivolto non solo all’Italia, né solo all’Europa, ha una dimensione universale, e deve tener quindi conto delle tante “forme” di comunità parrocchiali tra loro assai diverse. Non è un’enciclica o un’Esortazione papale, ma un’Istruzione di Congregazione, dunque serve necessariamente che abbia un carattere operativo. Eppure, come ha rilevato il liturgista e teologo Andrea Grillo, se il documento presenta, al suo interno, una tensione così evidente «tra “riforma strutturale” e “eterno ritorno del medesimo”, tra una parrocchia che deve “uscire da sé” e una parrocchia che si “chiude nelle sue evidenze tridentine”, il problema passa dal livello occasionale a livello strutturale».

Ecco, a noi il problema pare stia tutto qui: nel riuscire – sebbene a tratti e in maniera contraddittoria – da una parte a comprendere le ragioni della crisi che vive oggi la parrocchia, addirittura a individuare possibili scenari di riforma; ma di non essere poi in grado, per ragioni strutturali tutte interne al sistema Chiesa così come è oggi organizzata, di avviare i necessari (e da essa stessa auspicati) processi di rinnovamento. Adista intende perciò raccogliere la sfida e riflettere – a suo modo – su un tema tanto cruciale. Lo farà rispetto a un contesto limitato. Ancora più limitato dell’Italia, territorio troppo vasto e articolato per poter realizzare negli spazi che abbiamo a disposizione una lettura critica e esaustiva; ci limiteremo al territorio diocesano di Roma. Perché Roma è una diocesi simbolo, in quanto retta dal papa; perché Roma ha – soprattutto negli anni del post-Concilio – una storia ecclesiale ricca di fermenti, spesso dimenticati o volutamente marginalizzati ma che è importante e opportuno recuperare e far conoscere; perché Roma è stata la diocesi dove in maniera più evidente si è realizzato il progetto perseguito sotto il pontificato di Wojtyla e per mano del suo vicario, il card. Camillo Ruini, il progetto di una “presenza” culturale, sociale, politica della Chiesa cattolica, in funzione agonistica e alternativa rispetto alla società e alla cultura secolarizzate.

Infine, perché Roma è oggi una grande e articolata capitale europea, complessa e contraddittoria, piena di squilibri e nuove povertà; un territorio, insomma, in cui la “Chiesa in uscita” di Francesco gioca molte delle sue ambiziose sfide.

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